L’engagement degli stakeholders è oramai una prassi diffusa. Essa si manifesta in tre tipi di azioni: azioni di comunicazione che cercano di spiegare e illustrare la legittimità del modo di fare business dell’impresa; manifestazioni di responsabilità sociale ed azioni, più “avanzate”, di dialogo e coinvolgimento. Ma quali sono i risultati? Non sono eclatanti: un consenso non spendibile, una responsabilità “retorica” e l’apparire “improvviso” di stakeholders spontanei e locali che assumono generalmente atteggiamenti conflittuali.
Un consenso non “spendibile”
Le attività di engagement, soprattutto quelle più “avanzate” (dialogo e coinvolgimento) sembrano ottenere il consenso degli stakeholders “tradizionali” (le Associazioni ambientaliste, dei consumatori etc.) al modo di fare business dell’impresa. E’ un consenso che sembra “solido” e che viene spesso formalizzato in un protocollo di intesa o in un codice di comportamento. Quando questo consenso serve non è, però, utilizzabile. Intendiamo dire che quando viene avviato un progetto di sviluppo (dall’apertura di un supermercato alla costruzione di una centrale di produzione di energia, per fare due esempi concreti) oppure quando accade un incidente (ad esempio in una impresa dall’attività ambientalmente rischiosa), l’impresa immagina di poter spendere il consenso acquisito. Immagina di avere supporto (o almeno la non conflittualità) da parte degli attori sociali istituzionali nel realizzare il proprio progetto o nel fronteggiare le conseguenze di un incidente. Ma questo non accade! Accade, invece, che gli stakeholders tradizionali sembrano ritirare il consenso concesso, quasi a denunciare, contestare i protocolli di intesa e la violazione dei codici etici.
Una responsabilità “retorica”
Un’altra via per “rafforzare” il consenso che si vuole ottenere dagli stakeholders è quello di “sottrarre”, anche con enfasi, risorse destinate alla remunerazione degli azionisti e finalizzarle ad attività di respiro sociale. Anche questa “strategia” si squaglia come neve al sole quando l’impresa ha bisogno di spendere il consenso che immagina di ricavare da queste attività. Anzi, queste stesse attività appaiono immediatamente come strumentali: una sorta di foglia di fico che copre l’egoismo fondamentale dell’impresa. Attività retoriche, appunto.
L’emergere di stakeholders spontanei, locali
Ma accade anche che compaiono nuovi stakeholders (ad esempio stakeholders locali). Essi, da un lato, non riconoscono in nessun modo gli stakeholders tradizionali che si scoprono (anche loro) dotati di una scarsa capacità di acquisire consenso stabile, e dall’altro manifestano una relazionalità di protesta (quasi sempre ideologica) e non di proposta. Perché le attuali prassi di engagement non funzionano? Quali nuove prassi di engagement possono portare a costruire un consenso stabile e spendibile per lo sviluppo dell’impresa? Per rispondere a questa domanda dobbiamo cercare di capire più nel profondo il ruolo e i processi di sviluppo degli stakeholders.
Ci siamo fatti carico di questa ricerca, abbiamo raggiunto, crediamo, dei risultati interessanti. Una nuova metodologia, strumenti e linguaggi per intercettare e dialogare fecondamente con le categorie di stakeholders più "sfuggenti", ma spesso più determinanti.
Se volete, vi invito a leggere i dettagli in "Un engagement efficace ed efficiente degli stakeholders tradizionali, spontanei e locali".