bollino ceralaccato

Shangai, la borsa e l’impero di Cindia.

Una nuova pandemia si è, questa volta realmente, diffusa in tutto il mondo occidentale. Il male si chiama “Panico” ha colpito i possessori di titoli azionari e ha infettato tutte le borse mondiali. Federico Rampini, giornalista corrispondente da Pechino e attento osservatore di quella realtà, ci mette in guardia sul timore di uno scoppio di una bolla per un’economia cinese eccessivamente riscaldata.

Una nuova pandemia si è, questa volta realmente, diffusa in tutto il mondo occidentale. A causarla non sono stati i polli o altri volatili e il contagio non è avvenuto per contatto diretto, ma l’origine è sempre la stessa: l’estremo oriente. Il rimedio non si trova in farmacia, non centrano le multinazionali del settore e non è affare dei centri di ricerca biologici. Il male si chiama “Panico” ha colpito i possessori di titoli azionari e ha infettato tutte le borse mondiali. Federico Rampini, giornalista corrispondente da Pechino di “La Repubblica”  e attento osservatore di quella realtà, ci mette in guardia sul timore di uno scoppio di una bolla per un’economia cinese eccessivamente riscaldata.

Sono andato a rileggermi un suo magnifico saggio, L’impero di Cindia pubblicato qualche anno fa, per ritrovare tra quelle lucide e profetiche righe, qualche segnale di quello che sta per accadere. Rampini, attento osservatore della realtà asiatica, ci riporta uno scenario con gli occhiali da occidentale, rivolto all’economia, al capitalismo, ai diritti umani “televisivi”, quelli che ci fanno indignare davanti allo schermo mentre ceniamo guardando il TG per poi dimenticarcene subito dopo per vedere Sanremo o quando andiamo a comprare l’ennesimo paio di scarpe economico o alla moda, anche se fatto dai bambini di quella sventurata parte del mondo.

Parlando di India, cita una dichiarazione di un indiano, da lui intervistato, che riprende un testo buddista

 

“L’elefante è il più saggio di tutti gli animali / l’unico che ricorda le sue vite precedenti / e rimane immobile per lunghi periodi / a meditare”. Lento ma saggio. L’elefante indiano può  evitare alcuni effetti collaterali più dannosi di una società capitalista immatura. Se riusciamo noi a vincere questa scommessa, c’è speranza per tutti.”

 

Parole sagge, profonde, meriterebbero un approfondimento, potrebbero celare qualche segreto non del software o di come investire in borsa, ma su come uscire dalla spirale perversa che noi stessi ci siamo costruiti, che ci fa ricchi e felici, e dal quale non sappiamo uscire. Purtroppo viene lasciato a livello di battuta.

Più avanti viene citato uno stato del sud-ovest dove la ricchezza media degli abitanti cresce meno che in altre parti del paese, ma la mortalità neonatale è stata dimezzata, le disparità tra sessi per l’accesso all’istruzione annullata e la vita media di gran lunga superiore alla media nazionale e alla Cina. Come hanno fatto? Mistero, non interessa nessuno, anche questo evento abbandonato come citazione da guinnes.

Sulla Cina veniamo a scoprire le enormità del paese, l’inurbazione forzata, i disastri sociali e ambientali, la potenza della macchina produttiva, l’enorme ricchezza che si va accumulando, come sempre nelle mani di pochi rispetto alla totalità delle popolazione. Film già visto, ce ne parlò Dickens più di cento anni fa. A parte la dimensione del fenomeno, qual è la novità?

Anche qui cenni all’antica saggezza, ancora presente, del confucianesimo, possibili semi di nuove soluzioni di convivenza sociale e di benessere sostenibile, poi le cronache. Sembra che lo scopo sia solo quello di meravigliare, di stupire e spaventare con le enormi minacce che arrivano da quella parte del globo, come in un gigantesco film dell’orrore, chi non avrà la forza e la voglia di giocare lo stesso gioco di sempre su un nuovo tavolo, più ampio, più ricco, più verde.

Non ne faccio una colpa al cronista, inappuntabile e capace di cogliere l’essenza dei fatti, ma a noi tutti che non volgiamo lo sguardo laddove vi può essere la vera soluzione dei problemi che questa macchina infernale quotidianamente produce, oltre al benessere: cambiarla, sostituirla totalmente con nuovi paradigmi (ad esempio della complessità) imponendo che sia sostenibile e responsabile, sia per l’ambiente che per il sociale.

La vera preoccupazione allora non deve venire dalla Borsa di Shangai ma dal silenzio imbarazzato che oggi provocano, anche ad un esponente dell’elite più colta, due semplici domande che Rampini cita verso la fine del libro: che cosa sarà la Cina fra vent’anni? In che modo la Cina, visto che è destinata a diventare la potenza planetaria del futuro, cambierà il mondo?

Questa mancanza di “missione”, di cui invece non hanno mai sofferto tutte le grandi potenze del passato, Francia, Inghilterra, USA, soprattutto nel momento di massima espansione, è il segnale di una transizione incompiuta, di una ricerca di valori ancora senza risultato, che si sfoga in un cieco e sterile accumulo di capitali fine a se stesso. Cieco perché non guarda in faccia a nessuno, men che meno l’ambiente o il sociale, sterile perché già oggi, come afferma il Professor Raghuram Rajan dell’università di Chicago, la liquidità in cerca di investimenti è “influenzata soprattutto dalla carenza di attività reali”, come dire che soldi ormai ce ne sono talmente tanti che non sappiamo più cosa farci.

Un paradosso se si pensa ai milioni di diseredati che muoiono di fame e malattie. Una risposta, in termine di sviluppo “sostenibile”, potrà venire dalla Cina? Forse, andando a capire cosa c’è dietro, la loro cultura, le motivazioni profonde. Non certo dalla borsa di Shangai.

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