Gli scritti di chi si occupa di complessità e managment sono spesso caratterizzati da alcuni temi di fondo tra cui c'è ne uno che attira particolarmente la mia attenzione: quello del cambiamento all'interno delle organizzazioni.
Sappiamo di dover fare l'ingresso in un nuovo paradigma e siamo consci che ciò comporterà una serie di mutazioni che investiranno tutti gli aspetti della società globale.
Abbiamo anche visto che i prodomi di questo nuovo modo di vedere e vivere il mondo sono già presenti in modo velato all'interno degli eventi e dei nostri quotidiani movimenti.
Si direbbe che siamo arrivati al punto di dover fare il salto nella consapezolezza, mossa che dichiarerebbe reale ciò che alcuni ritengono ipotetico: la creazione di una nuova cultura e l'introduzione di nuovi schemi pubblici di lettura e di scrittura della realtà.
Il problema che teoricamente dovrebbe porsi è: da dove partire per realizzare questi cambiamenti?
In realtà questo è un quesito che non esiste visto che ci troviamo all'interno di un sistema complesso in evoluzione.
Non siamo noi a decidere come iniziare.
Possiamo solo seguire l'onda, se riusciamo a riconoscerla.
Secondo voi è forse un caso che Complexlab riunisca in un ambiente collaborativo persone che lavorando per le organizzazioni siano arrivati a comprendere il bisogno di farlo seguendo il paradigma della complessità?
Secondo me no.
Ritengo inoltre che l'aspetto economico sia il primo ad essere direttamente investito dal ciclone della complessità, per un semplice problema di sopravvivenza: la rete (con annessi e connessi) ha creato un nuovo ambiente e per adeguarsi allo stesso, per non morire, occorre mutare il proprio status, attuare una forma di cambiamento per rendere la struttura delle nostre imprese e della nostra economia adatta alla richiesta del nuovo habitat.
Come dice il titolo: Managment e complessità: non una scelta ma una necessità!
Fa anche rima...
A parte gli scherzi, il problema è serio perchè per attuare le modifiche di cui le organizzazioni hanno bisogno per entrare nel mondo della complessità non basta variare una o più procedure di lavoro ma occorre trasformare il modo di vedere il lavoro da parte di quelle che sono definite come risorse umane.
Il passaggio è epocale poichè seguendo proprio la teoria della complessità, delle reti, dei giochi e dell'effetto farfalla ad ogni evoluzione reale di ciascun individuo nel mondo lavorativo corrisponderà l'evoluzione totale del suo essere con un nuovo modo di percepire la semplice realtà di tutti i giorni e viceversa.
Gli esseri umani sono delle organizzazioni, delle entità intese in senso olistico e introdurre questi nuovi concetti nella vita lavorativa significa aprire loro la mente su un nuovo modo globale di sentire e far parte del mondo.
E' anche vero che il cambiamento di visuale, per essere reale ed oggettivo, deve essere naturale o naturalmente indotto altrimenti non funziona. E' necessario che la persona percepisca l'esigenza di dover vedere il mondo attraverso delle nuove lenti, capaci di mettere a fuoco ciò che sembra offuscato e dunque comportarsi di conseguenza.
Quotidianamente ho modo di constatare che una forte dose di complessità risolverebbe molte situazioni critiche ma non sempre è possibile introdurla nella formazione o nella risoluzione della problematiche, per lo meno in maniera chiara, manifesta, perchè non tutti sono pronti a fare il salto di specie.
Occorre aver bisogno di qualcosa per capirne il valore.
Solo quando piove si capisce l'importanza di avere un ombrello a portata di mano.
Forse, dato che ancora non piove troppo, la complessità potrebbe sembrare una delle tante teorie del momento e non la chiave di lettura del prossimo futuro.
Ai manager e ai titolari d'azienda che la pensano così consiglierei di ricordare la storia dei dinosauri: erano i padroni del mondo e si sono estinti per un cambiamento climatico mentre altre forme di vita sono sopravvissute...
Mi piacerebbe domandare loro a quale delle due specie vogliono appartenere.