L’articolo di fondo del Corriere di oggi 13 giugno 2007 è a firma Pietro Ichino ed ha per titolo: “Il contratto impossibile”. Il prof Ichino denuncia la crescente difficoltà nel chiudere i contratti nazionali di lavoro, indica nella mancanza di una visione comune tra le parti la causa di queste difficoltà e propone come soluzione quella di decentrare la contrattazione. Ecco io credo che questa proposta sia un ologramma di mille proposte analoghe che si avanzano a diversi livelli per superare altri “impasse”. Io credo che si tratti di proposte inattuabili e che occorra qualcosa di molto diverso.
Cosa c’è al fondo della proposta del Prof Ichino? La corretta osservazione che la società sta diventando sempre più complessa ed articolata, ma la sbagliata soluzione che occorre a semplificare questa complessità attraverso la contrattazione a livello locale ed aziendale.
La stessa visione viene proposta a livello politico. Si dice: stiamo assistendo ad un proliferare di partiti politici (e il proliferare viene visto come negativo); questo proliferare impedisce di decidere, allora occorre semplificare.
La stessa soluzione viene proposta a livello d’impresa. Chi non sostiene che occorre una forte capacità decisionale perché “tempus fugit?”. Detto più modernamente: il “time to market” per seguire le tendenze di mercati che sembrano aver preso il gusto di girarsi e rivoltarsi nello spazio di un sospiro?
In sintesi: siamo assediati da una crescente complessità che vediamo come negativa. Dobbiamo opporci semplificando e accentrando. Insomma: l’eterno richiamo a qualche uomo della provvidenza in ogni campo.
Ecco è questa la visione che ritengo errata e devastante.
Credo, infatti, che la complessità non sia frenabile, ma sia fortissima. E, credo, che se gli interessi, i valori si moltiplicano, si diversificano, questo accadimento è un valore! Indiscutibilmente, il più prezioso.
Ma come fare perché questa complessità non generi, con un gioco contrapposto di forze, immobilismo?
Ecco occorrono nuovi strumenti e nuove competenze. Un nuovo ruolo della classe dirigente.
Esemplificando, perché in mille angoli di questo sito si trovano più dettagli: occorre che la classe dirigente sappia ascoltare e valorizzare la diversità. Cioè: deve essere interessata non alle proprie opinioni, ma a quelle degli altri. Deve disporre di metodologie per far esprimere gli altri. Ad esempio, deve essere esperta in metodologie di defreezing cognitivo. Deve riuscire a costruire sintesi e, quindi, deve essere esperta di tecniche di rappresentazione della conoscenza.
Insomma deve avere strumenti e metodologie per fare quello che sostiene necessario il Prof Ichino (costruire visioni comuni), ma senza prima semplificare. Anzi giocando a moltiplicare quella complessità che, tanto più è intensa, tanto più permette sintesi emozionanti.
Una banale proposta per andare in questa direzione: operiamo una auto-censura del linguaggio. Eliminiamo tutte la parole che indicano contrapposizione: lotta, competizione. Negoziazione. Vediamo se funziona. Uno sciopero per il rinnovo di un contratto. Una manifestazione lunga con molti cartelli. Cosa vi è scritto in quei cartelli? Lotta dura senza paura? No! Tanti pezzi di un nuovo ed emozionante piano di sviluppo aziendale, costruito usando tutte le ricchezze e le competenze che le burocrazie aziendali (non i padroni famelici) censurano. Il ruolo del sindacato? Fare in modo che la scritture del piano sia possibile. Che la manifestazione possa svolgersi in questo modo.