bollino ceralaccato

CSR: dalla retorica allo sviluppo

La caratteristica fondamentale della nostra società è l’aumento della sua complessità economica, sociale, politica, istituzionale e culturale. Aumento di complessità significa che, quando si evidenzia un trend, come ad esempio la globalizzazione, si manifesta anche il trend opposto: in questo caso la localizzazione, il radicamento, la riscoperta di trazioni ed origini. Ma, soprattutto, significa aumento delle opportunità per costruire il futuro che si desidera.

 

“La nostra impresa è molto avanti nella concezione e nella prassi della responsabilità sociale”, mi ha detto il responsabile della CSR di una grande impresa italiana. “Ah bene, e come fa a dirlo?” ho chiesto io. “Semplicissimo – risponde il nostro – vinciamo noi quasi tutti i premi! L’ultimo l’abbiamo vinto per il nostro bilancio sociale”.

Non si tratta di una storiella, ma di una analisi spietata dello “stato dell’arte della CSR. E  non solo in Italia.

Oggi prevale una visione della CSR “vetero- industriale”: il suo obiettivo è quello di difendere la società dalla “naturale prepotenza” dell’impresa manifatturiera. Essa è naturalmente prepotente  perché ha, come obiettivo fondamentale, solo quello di produrre valore economico. E lo fa utilizzando le risorse del mondo umano e materiale. L’impresa manifatturiera, insomma, è una sorta di grande ingranaggio che trasforma il mondo usando il mondo stesso. Il problema è che in questo trasformare semina “sottoprodotti” che vengono giudicati socialmente negativi. Oppure può utilizzare in modo inaccettabile le persone. Ed allora serve un freno a questa invadenza fisica e sociale che viene definito Corporate Social Responsibility.

Questo tipo di CSR rischia di diventare occasione di conflitto o di retorica. Occasione di conflitto perché, da parte del sociale antagonista, diventa uno strumento per frenare la cupidigia dell’imprenditore. E, da parte dell’imprenditore, un modo per difendersi da questo sociale. Detto diversamente, la CSR rischia di diventare una ulteriore occasione per riproporre l’eterno conflitto tra lavoratori e padroni che oramai ha senso solo nella letteratura di una battaglia politica completamente autoreferenziale. Rischia di diventare occasione di retorica nelle imprese non industriali dove l’unico metro di giudizio della socialità rischia di essere quello dei premi che premiano, appunto, l’arte del dire.

Io credo che a questa visione della CSR occorra sostituirne un’altra. Provo a descriverla. La nostra società non può essere caratterizzata attraverso singoli fenomeni come la globalizzazione. Se lo si fa, si generano miti semplificatori che sembrano fatti apposta per costruire nuove occasioni di conflitto: pro o contro la globalizzazione. Io credo che la caratteristica fondamentale della nostra società sia l’aumento della sua complessità economica, sociale, politica, istituzionale e culturale. Aumento di complessità significa che, quando si evidenzia un trend, come ad esempio la globalizzazione, si manifesta anche il trend opposto: in questo caso la localizzazione, il radicamento, la riscoperta di trazioni ed origini. Ma, soprattutto, significa aumento delle opportunità per costruire il futuro che si desidera. Allora il futuro non è una evenienza fatale, il capriccio di qualche dio minore o maggiore che sia. E’, invece, una costruzione sociale. Può essere una costruzione carica di odio ed infelicità. Oppure può essere una nuova terra promessa.

Questo costruire il futuro non è neutrale. Significa sfruttare alcune opportunità e abbandonarne altre. Tutta la storia biologica ed umana insegna che l’evoluzione è sempre stata il risultato del privilegiare alcune opportunità biologiche, tecnologiche, linguistiche o culturali a spese di altre. Solo per fare un esempio, lo sforzo del costruire una nuova economia nel dopoguerra, ha generato una società auto-centrica. Avrebbe potuto generare tutt’altro tipo di società. Il problema è che fino ad oggi queste grandi scelte sociali sono avvenute inconsapevolmente per il banale motivo che non esistono metodologie per attivare processi di progettazione sociale del futuro. Ed allora si annaspa con ideologie, retorica buonavolontaristica o improvvisazione, qualche volta anche interessata.

Questo è il quadro nel quale si deve collocare la CSR. Esso permette di scoprire cosa significa, per una impresa, essere socialmente responsabile.  Il sociale non è  un “disturbo” per il fare business, ma è il luogo in cui si definiscono, si strutturano potenzialità di business che sono contemporaneamente, potenzialità di sviluppo sociale complessivo. L’essere socialmente responsabili significa allora attivare e guidare processi di innovazione senza aggettivi. Processi di innovazione dove il prodotto finale non è solo il valore economico, ma lo sviluppo sociale complessivo.

Un altro esempio di questo costruire sviluppo sociale complessivo, questa volta non accaduto come quello che ha costruito la nostra società autocentrica, ma possibile, è quello del business assicurativo. Infatti, le due delle aree fondamentali del business assicurativo sono la previdenza e la sanità. Per intervenire in esse occorre partire dal sociale perché occorre conoscere il sistema di Welfare di riferimento: esso è la fonte di ispirazione per l’azione economica. Detto diversamente, una impresa manifatturiera può fare soldi in spregio del sociale. Una impresa di assicurazione, almeno nelle nuove aree di business, può fare soldi solo attraverso una piena compatibilità sociale. Allora il concetto di responsabilità sociale si allarga: da vincolo all’attività d’impresa a ricerca delle opportunità per la costruzione di una nuova impresa in una nuova società. Il diventare socialmente responsabili non significa limitare la propria attività, ma significa operare per rinnovarla profondamente. E, così, rinnovare la società che la ospita.

In sintesi ecco allora il concetto CSR che propongo: la CSR, allora, come responsabilità verso lo sviluppo sociale complessivo. Se cambia il concetto di CSR, devono cambiare anche le pratiche: una impresa vive profondamente la sua responsabilità sociale solo se accetta il “rischio” di avviare azioni di sviluppo della sua identità profonda e del sociale che la ospita. Poi continuiamo pure a fare il bilancio sociale. Ma in esso non raccontiamo solo che rispettiamo le regole e facciamo charity. Raccontiamo, invece, il nostro impegno a costruire uno sviluppo che non può essere solo economico. La CSR, insomma, diventa il nuovo paradigma del fare strategia.

Ma come fare? Come progettare queste nuove identità? Esse non possono nascere da una progettualità di vertice che è, per definizione, di conservazione. Esse possono nascere solo da una progettualità sociale che coinvolga tutti gli stakeholders interni ed esterni dell’impresa. Per attivate questa nuova progettualità sociale serve una grande rivoluzione di processo. Intendo dire che le imprese devono acquisire ed utilizzare metodologie di attivazione e di gestione di quella progettualità sociale intensa, fervida e solidale che permette di generare un nuovo mondo. Cioè una nuova società, nuove imprese, nuovi uomini. Utilizzando quel patrimonio di nuove conoscenze che viene riassunta dall’espressione “metafora della complessità” abbiamo sviluppato queste nuove metodologie che abbiamo definito “Autopoietic Stakeholder Management”.

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Francesco Zanotti

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