bollino ceralaccato

Risorse umane e non umane: voci dal seminario di Persone e Conoscenze

Il 26 ottobre 2007 a Milano, la Casa Editrice Este ha organizzato un seminario dal titolo: “Risorse Umane e Non Umane: la Direzione del Personale salvata dalle tecnologie?”

Seminario molto utile per l’attualità del tema e per la qualità di alcuni contenuti. Poiché lo stile proposto dagli organizzatori era quello del confronto, non della promozione delle soluzioni, vorremmo proseguire alcuni ragionamenti suggeriti dall’ascolto di quanto portato dai relatori venerdì. Considereremmo un risultato  se fra i lettori di Complexlab, qualcuno si sentisse invogliato a portare suggerimenti e contributi.

Ecco alcune sollecitazioni emerse dall’incontro:

Le tecnologie impattano sul cambiamento, non servono solo a velocizzare il lavoro.

 

Le tecnologie sono un supporto al lavoro in quanto lo velocizzano e lo sistematizzano; tuttavia stanno cambiando anche il nostro modo di lavorare. Come sosteneva il presidente dell’AIDP, Enrico Cazzulani, l’elaborazione di un software o l’acquisto di un prodotto “chiavi in mano” dovrebbe aiutare la Direzione del Personale (ma per estensione tutti gli utenti) a lavorare meglio, in quanto obbliga a monte a chiarire gli obiettivi del progetto e il processo di lavoro.

Ma il miglioramento qualitativo è significativo?

Nelle aziende sono diffusi molti strumenti per la gestione del personale: dall’evoluzione informatica degli archivi con i dati dei dipendenti (i vecchi schedari con l’anagrafica e la registrazione delle presenze), agli strumenti per la gestione amministrativa, ad alcuni strumenti più evoluti di gestione del personale (non solo l’anagrafica, ma anche il catalogo con i cv, i corsi di formazione e le competenze dei dipendenti).


leaf.jpgLe PMI difficilmente implementano progetti di HRMS (Human Resource Manangement System) probabilmente perché ne riscontrano un valore d’uso limitato. Talvolta sono disponibili strumenti per la gestione delle Risorse Umane che offrono risultati soprattutto per il controllo del personale (tracciare i cambiamenti di ruolo, di sede o di azienda, consentire alla direzione l’accesso alle informazioni, organizzare meglio eventuali assunzioni etc.). In questo caso la PMI ne trae un vantaggio relativo: le condizioni strutturali consentono un monitoraggio delle persone meno formalizzato e abbastanza diretto. Le PMI hanno bisogno delle tecnologie, ma per crescere sul piano dell’innovazione e della conoscenza. In queste realtà, infatti chi ha responsabilità manageriali deve poter coniugare le competenze relative alla sua funzione con quelle di gestione e sviluppo delle persone coinvolte nel processo da lui/lei gestito.

Le PMI hanno inoltre significative esigenze di riduzione delle ridondanze e di risposte efficaci rispetto ad alcuni bisogni.

Per esempio, l’archiviazione dei c.v., non costituisce per loro un problema al pari di quello di trovare in breve tempo e a poca spesa le risorse chiave per la propria organizzazione. E ancora: per la gestione delle competenze, il bisogno è conoscere e differenziare le fonti di informazione per poterle selezionare, non quello di catalogare le competenze.

Esiste ad oggi una tecnologia applicata alle competenze che preservi dal rischio di una “taylorizzazione” dei saperi e delle storie delle persone?

Per altro, alcuni cambiamenti sono già attuali; la prospettiva della complessità non può che leggerli come occasione di crescita anche per la gestione delle Risorse Umane e per la gestione dei sistemi informativi.

Basilea2, ad esempio, sarà operativa dal 1° gennaio 2008 e renderà effettivi nuovi criteri di valutazione delle aziende da parte delle Banche: l’attribuzione a una  fascia di rating  sarà data anche dalla considerazione  di elementi qualitativi, oltre che da quelli quantitativi e andamentali. Le PMI quindi  dovranno rappresentare e comunicare alla Banca anche le informazioni qualitative dell’azienda: informazioni riguardanti la Proprietà e la governance (assetto societario, competenze della direzione rispetto al mercato etc), riguardanti il mercato (grado di concentrazione e caratteristiche della clientela, importanza dei fornitori etc.), riguardanti l’organizzazione e la gestione aziendale (processi interni formalizzati e certificati, qualità del personale, l’investimento in R&S, capacità di pianificazione aziendale etc.).

Basilea2 indica una direzione, ammette apertamente ciò che le aziende sapevano da sempre, ma non indagavano quasi mai: le competenze delle persone sono predittive del successo di un’organizzazione.

Il capitale informativo e applicativo da una parte condivide con il capitale umano e con il capitale organizzativo l’appartenenza agli “intangible assets”, dall’altra può forse diventare un reale strumento a sostegno di nuove pratiche, nuovi modi di rappresentare il valore di un’azienda, nuove esigenze di indicatori non solo finanziari.

Tutto questo a patto che le tecnologie siano aggiornabili e abilitanti, e che le loro “guide umane” siano preparate e ingegnose: le “guide umane” sia delle imprese che delle organizzazioni bancarie!

I bisogni segnalati dalle aziende diventano quindi gli ambiti entro i quali, come società di consulenza di direzione, dobbiamo ricercare risposte utili.

In questo senso IT ed HR dovrebbero forse sforzarsi non di realizzare prodotti che forniscono risposte definitive bensì “tool collaborativi di lavoro”.

La tecnologia può contribuire a stimolare la crescita e la creatività delle persone, oltre ad organizzare e ratificare l’esistente?

 

Il tema delle professionalità

Per imparare a usare le tecnologie bisogna conoscerle almeno in parte; al seminario si parlava di ibridazione dei team di lavoro tra professionisti IT e professionisti HR, di curiosità verso le potenzialità degli strumenti informatici, di capacità di leggere le specifiche funzionali di un prodotto software. Gli esponenti delle multinazionali evocavano cambiamenti nelle competenze delle varie famiglie professionali, anche in quella della Direzione del Personale. Il dibattito non si risolve più tra generalisti o specialisti: i primi rischiano di sapere di tutto un po’, ma di restare fuori dal mercato ed i suoi contenuti, i secondi rischiano di chiudersi nell’isolamento della funzione.

Ci domandiamo se un primo sforzo possa riguardare il miglioramento del rapporto tra ruolo e persona.

A volte il rumore delle etichette associate ai ruoli assorda o distrae anche l’orecchio più fino; “Vice President Human Resource Manager della divisione Xy Italia…”: se impiego il poco tempo di attenzione che l’altro mi può dedicare a spiegare e giustificare la mia etichetta perdo l’occasione di dire chi sono e quali temi mi stanno a cuore.

E’ una questione di sintesi e di scelta.

La professionalità non riguarda solo la capacità di applicare un metodo o di svolgere compiti specifici, riguarda anche il sapersi connettere continuamente alla vita complessiva  di un’organizzazione.

Un’altra considerazione riguarda la diffusione di competenze. Nelle grandi organizzazioni assume significativa urgenza l’integrazione di obiettivi tra manager di funzione e responsabili RU e, al contempo, nelle PMI i responsabili di funzione vedono estese le proprie responsabilità anche all’ambito della gestione delle risorse umane a loro assegnate (si tratta di responsabilità che sempre più spesso appaiono esplicitate e formalizzate anche nell’ambito delle “job description”).

Sembra quindi che un po’ tutte le organizzazioni siano accomunate (a prescindere dalle dimensioni organizzative) dalla necessità di compiere un passaggio culturale prima che tecnologico. E’ un passaggio che potrebbe richiedere sforzi anche personali notevoli: sospendere il bisogno di controllo (che, scusate il gioco di parole, sembra rendere incontrollabile l’uso delle tecnologie e, non ultimo, incontrollabile proprio ciò che si vorrebbe controllare) a favore di un atteggiamento (perché no, supportato anche dalla tecnologia)  capace di inserirsi nella dinamica di un sistema, è qualcosa di molto di più di un semplice “passaggio culturale”. Come emerso anche dai racconti dei relatori, sembra che   l’atteggiamento con cui ci si rivolge alle tecnologie può dare luogo a risultati piuttosto diversi: da una sensazione di frustrazione ad una percezione di attivazione di una buona prassi.

Coniugare orientamento al business e sincero interesse per le persone

Lauro Venturi, amministratore delegato di Siaer, ha espresso questo pensiero con efficacia e senza ipocrisie.

La divisione dei ruoli dentro un’organizzazione serve quanto più riesce a ridurre la divisione tra strategia e operatività, tra business e persone, tra interno e esterno.

Le tecnologie in questo senso possono aiutare a diffondere la conoscenza e a sostenere i contatti e le relazioni tra le persone: pensiamo ad esempio alle tecniche di knowledge management o di social networking. L’intranet, il messaging entro l’azienda, la biblioteca dei progetti attuati, le mail riguardanti le novità del settore, il collegamento a siti web di rilievo per il lavoro etc. sono strumenti importanti se incontrano l’esigenza delle persone senza diventare strumenti di potere, di controllo, di intrusione.

Pensiamo ai data base: la diffusione dei portali per la ricerca e selezione del personale riteniamo rappresentino una opportunità, ma forse non ne vengono  ancora sfruttate appieno le potenzialità se restano ambiti prevalentemente utilizzati per la ricerca di una prima occupazione o poco più. Non è infrequente avvertire una delusione rispetto alle aspettative nutrite: il candidato avverte impersonalità, sente d’essere “uno dei tanti” e l’impresa non trova ciò che cerca. Allora,  riprendendo la domanda di Varanini - “come si fanno stare le storie delle persone in una base dati?”- , ci viene da pensare che parte della risposta stia già nella domanda. Un sincero interesse nei confronti delle storie delle persone, appunto: il metterle in connessione, impegnarci nell’individuazione di criteri differenti per l’interpretazione di un curriculum, sviluppare “comunità” può diventare un risultato a cui tendere adeguando ad esso le tecnologie?

E ancora: possiamo spingerci un pochino oltre e ipotizzare che, progettate a questi scopi, le tecnologie possano contribuire alla realizzazione di un fatto nuovo e cioè a pensare e vivere “politicamente” l’azienda? (Politica come gioco della costruzione nell’ambito di relazioni fra uguali e di pari “cittadinanza”)

L’importanza di coniugare orientamento al business e sincero interesse per le persone emerge anche nell’ambito della formazione e dalla sua misurazione.

Le PMI segnalano che l’esigenza formativa a volte si unisce a quella informativa: le notizie, gli aggiornamenti se agili e “in pillole” potrebbero costituire anche una provocazione formativa, uno spunto di riflessione e di approfondimento. L’esigenza va nella direzione della leggerezza, non del tecnicismo, non dell’evasione: la formazione dei manuali (migliaia di pagine di procedure, codifiche, definizioni etc.) appesantisce e pontifica l’apprendimento, quella delle emozioni forti dei laboratori esperienziali perde iscritti perché non si verifica l’apprendimento lavorativo nel breve termine. Informazione/formazione leggera significa che è costante ma in piccole dosi, che stimola la curiosità senza esaurirla, che si pone in ricerca di temi magari collaterali al business ma di effettivo supporto. Siamo al capolinea del concetto di competenze trasversali? Probabilmente siamo alla stazione di partenza di un nuovo modo di fare formazione e le tecnologie possono supportarlo non solo con l’ e-learning o internet.

Per aiutare a gestire le sfide dei cambiamenti sociali, le tecnologie possono non solo controllare o sistematizzare o promuovere, devono supportare l’espressione e incrementare il valore dell’intangibile delle organizzazioni.

Due proposte per rapportarsi con la complessità

Poiché il rapporto tra Risorse Umane e Tecnologie è complesso e non offre soluzioni “pret à porter”, ci sono piaciuti i contributi che lasciavano intravedere dei modi più per entrare  in rapporto con la complessità, che per cercare di ridurla.

In particolare ne abbiamo raccolti due dal seminario.

Primo: le tecnologie e soprattutto le modalità di gestirle sono imperfette e limitate, gli strumenti informatici non sono onnicomprensivi.

La prospettiva della complessità richiede di ritornare al locale e di mettere la propria intelligenza nella comprensione dei problemi principali per stimolare il cambiamento e governarlo. Un sistema che crea la massima soddisfazione, che è veloce, che si integra perfettamente nelle procedure di lavoro, che stimola la riflessione, che raggiunge tutti gli obiettivi etc. non esiste neppure nelle nostre menti. Il cambiamento non è l’introduzione di una nuova tecnologia esaustiva, piuttosto la chiarificazione di un diverso modo di rappresentare, di interpretare o di intervenire in un problema o in una situazione specifica.

Il limite principale delle tecnologie non è tecnico, è di gestione. I sistemi informativi non sostituiscono le competenze e le responsabilità dell’uomo.

La tecnologia non deve privare del piacere e del dovere alla responsabilità personale. Due esempi accaduti: un dipendente legge nella intranet aziendale, prima di una comunicazione ufficiale da parte di un suo referente, che la sua sede di lavoro sarà smantellata; un’azienda decide di attribuire al computer la valutazione delle competenze perché l’algoritmo è testato dall’università di Chicago (peccato che non tiene conto dell’elemento umano presente nel dato di input).

Quando le Risorse non Umane assurgono a sostituire l’Umano e le Risorse Umane si paraventano dietro al Non Umano, la confusione è responsabilità dell’umano, sempre.

 

Secondo: la complessità si (auto)organizza con la contaminazione più che con la specializzazione.

Per tutti è difficile imparare il linguaggio di chi non ci è simile, per tutti è faticoso tentare di superare i pregiudizi e le barriere alla conoscenza, per tutti è una sfida quella che ci si prospetta. La contaminazione avviene quando le storie entrano in circolo e si interconnettono. Moltiplica i punti di vista, facilita la comprensione, stimola l’apertura alla novità e alla ricerca di un nuovo limite, non disgiunge e non toglie, anche se obbliga alle scelte.

Per approfondire il tema segnaliamo altri interessanti contributi, stile “tavola rotonda” in zerounoweb.


NOTE

Legge n° 15 del 23 febbraio 2007, pubblicato sulla GU del 24 febbraio 2007 (conversione del decreto-legge del 22 dicembre 2006, pubblicato sulla GU del 27 dicembre 2007 al n° 297) (pagina html dal sito www.parlamento.it);

Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione, documento ufficiale del Comitato di Basilea, scaricabile dal sito della banca dei regolamenti internazionali

 

Si veda ad esempio Vita Activa (1958) di Hannah Arendt. http://it.wikipedia.org/wiki/Hannah_Arendt

 

La letteratura sul tema è fiorente (per una bibliografia si consulti ad esempio http://www.tesionline.it/consult/bibliografia.jsp?idt=11867); recentemente si legga la rubrica “Discussioni” di Sviluppo&Organizzazione, n. 223, sett-ott 2007.

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Eleonora Parolari

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