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Gli articoli che troverete in questa rubrica nascono in un osservatorio specifico, quello di una società di consulenza di direzione che si occupa di risorse umane. Stiamo intraprendendo esperienze che ci portino ad agire concretamente nel nostro lavoro in modo diverso, non per il gusto di innovare ma per l’esigenza sentita e condivisa anche dal mercato di cambiare approccio e ottica nell’ambito delle RU. L’occasione di ComplexLab desideriamo diventi una proposta di viaggio da condividere con chi leggerà questi articoli per non limitarci a guardare dalla finestra dell’osservatorio ma metterci in gioco per primi.

 

jatropha curcas 3Gli articoli che troverete in questa rubrica nascono in un osservatorio specifico, quello di una società di consulenza di direzione che si occupa di risorse umane. Stiamo intraprendendo esperienze che ci portino ad agire concretamente nel nostro lavoro in modo diverso, non per il gusto di innovare ma per l’esigenza sentita e condivisa anche dal mercato di cambiare approccio e ottica nell’ambito delle RU. L’occasione di ComplexLab desideriamo diventi una proposta di viaggio da condividere con chi leggerà questi articoli per non limitarci a guardare dalla finestra dell’osservatorio ma  metterci in gioco per primi.

Vorremmo portarci in questo viaggio tre cose:

        • un picchetto per innovare attraverso l’intraprendere più che attraverso il competere;
        • un plaid per gustare la relazione e agirvi con rispetto curando il clima per far emergere novità;
        • del pane per avvicinarci con semplicità e concretezza alla complessità sociale.

“Estratti di vita delle persone dentro e fuori le organizzazioni sociali”

Eleonora Parolari

(Consulente Junior – Due.Con srl)


Occupandoci di Risorse Umane, intercettiamo ogni giorno pezzi di vita delle persone dentro e fuori le organizzazioni sociali. In questo articolo racconteremo alcune esperienze che ci muovono verso l’innovazione e verso la collaborazione con ComplexLab e i suoi lettori. Adottiamo una prospettiva micro, legata a fatti concreti della nostra quotidianità. I racconti non esauriscono il senso, speriamo lo aprano attraverso piccole finestre nella complessità dell’agire umano, attraverso la proposizione di segnali deboli che se colti permettano il vivere dignitoso e rispettoso. Mettiamo a disposizione questi brevi racconti perché ci intravediamo alcuni temi che ritornano nel nostro lavoro e che vorremmo approfondire, i punti di vista e le possibili letture potrebbero essere molteplici.

Ringraziamo chi vorrà interagire con noi e fare in modo che le nostre riflessioni non si dimostrino un poco riuscito esercizio di stile.

“In una casa per bambini con handicap, vive un piccolo oggettivamente brutto e sfortunato (è autistico, è gravemente allergico all’aspirina, sente solo parzialmente, ha un visus molto ridotto, ha la faccia storta e l’elenco potrebbe continuare). Il suo progetto educativo prevede di iniziarlo all’autonomia e alla relazione. La prova del nove è il momento della pappa. Mattia mangia da solo? Risposta della responsabile: “Dipende: se l’operatore è a destra lui mangia, se è a sinistra no”.

Il saper fare è relazionale, non assoluto. Mattia è come tutti noi: so fare una cosa se, non la so fare se. Il “se” è importante più del “che cosa sa fare” perché è l’elemento di congiunzione tra il sì e il no. Le organizzazioni creano legami tra persone, tra persone e attività, superano l’individuo ma non lo comprendono in toto. Senza il “se” il legame non si crea: qualcosa si scioglie o qualcosa si annoda troppo strettamente.

“Analisi delle competenze dentro una media azienda milanese. Dal colloquio coi responsabili, emerge che è necessario sottoporre il questionario anche alla segretaria perché in realtà ha un ruolo tecnico non di secondo piano. Viene preparato un questionario ad hoc; dopo qualche giorno la donna, sulla mezza età, di buona istruzione, ben curata, lo riconsegna con una parte in bianco. Perché? “Io non so se posso rispondere, sono solo la segretaria, non so se ho il permesso”. Scusi, ma lei si occupa anche dei bandi oltre che della segreteria? “Sì, ma non saprei cosa dire, lo faccio così, perché me l’hanno chiesto e ormai ho imparato”.

A volte il riconoscimento è scontato, l’organizzazione offre lo stipendio e comunica le attività, le persone si sentono parte dell’organizzazione, fanno le cose che sono loro richieste. Eppure c’è qualcosa che sfugge e che va oltre il ruolo, la cultura organizzativa, le competenze: rinominare, conoscere e riconoscere, apprezzare le persone non dando un prezzo, ma lasciando emergere significati di un ruolo dentro un contesto organizzativo. A volte è sufficiente e necessario ricercare non la competenza o l’incompetenza delle persone, non la competenza o l’incompetenza dell’azienda, ma la relazione tra la persona e la sua azienda e il senso che costruiscono reciprocamente.

“Grande azienda situata a ridosso di una statale che collega la provincia bergamasca con quella milanese. In quel periodo, il formatore si recava in azienda una volta a settimana per il suo corso sullo sviluppo delle competenze. L’ingresso dell’azienda era sempre un via via di camion e auto, il parcheggio era ridotto rispetto al numero di veicoli, i controlli in quel periodo si stavano facendo più rigidi. Il formatore rispettava i soliti clichè: era sempre in ritardo con il telefono in mano.

Il portiere era un uomo di mezza età, impeccabile dentro la divisa aziendale, gli piaceva fare qualche battuta di spirito e si mostrava sempre di buon umore; ormai riconosceva l’auto del formatore e lo faceva passare senza impegolarsi in lunghi preamboli, spesso si faceva lasciare le chiavi per spostare l’auto qualora fosse necessario. Fatto sta che il formatore riusciva ad arrivare in tempo in aula.

A Natale il formatore gli portò un panettone, uno di quelli buoni, ma sicuramente non c’era confronto con il pacco aziendale, e vi scrisse: “Grazie, Lei è bravissimo”. Il portiere ricevette e lasciò passare. All’uscita dopo la sessione formativa, il portiere uscì dal suo box e bussò ai finestrini dell’auto del formatore: “Ma lo sa che non me l’aveva detto nessuno in trent’anni?”. Sarà stato il periodo natalizio ma al formatore non sembrava proprio di essere stato “più buono”.

L’esempio non parla necessariamente di una persona con bassa autostima o di un’organizzazione che non valorizza le sue risorse, parla di un episodio in una parte di vita quotidiana. Di queste piccole parti si compone il lavoro e la vita delle organizzazioni. Gli episodi diventano più o meno significativi a seconda della relazione che instaurano con altri episodi. Il nostro sforzo va nel comprendere come i fatti si connettono, non come si possono giudicare.

“Alcuni scambi tratti dai colloqui di selezione:

- Cosa è la cosa che la emoziona di più nel suo lavoro? Emozionarmi??… no, sul lavoro non mi emoziono mai.

- Perché vuole cambiare lavoro? Sa, il sabato non posso andare a fare la spesa con mia moglie e lei inizia a rimproverarmelo; voglio aver chiaro che lavoro 8 ore al giorno, al massimo 40 ore settimanali.

- Cosa pensa di poter dare all’azienda? Io voglio nuovi stimoli, ho bisogno di crescere per realizzare il mio potenziale”

tecnologiaE’ un tema delicato che non si risolve in questi tre brevi esempi, ma le parole e i comportamenti tracciano il significato, la guida delle azioni. Dove inizia e dove finisce il lavoro? Il problema non si esaurisce nel numero di ore di lavoro settimanali, nella regola del cellulare acceso o spento sul luogo di lavoro, nella necessità o meno della spesa con la moglie, nell’indagine del potenziale individuale o degli incentivi dell’organizzazione; è lo scambio che interessa, un continuo incontro tra la persona e delle attività, tra la persona e altre persone, tra ciò che ricevo e ciò che posso dare. Il lavoro non è tutto, ma è una parte più o meno significativa. Le persone vivono lavorando e lavorano vivendo. Nessuno dei due è lo scopo. Lo scopo è stare bene.

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Eleonora Parolari

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