bollino ceralaccato

Lezione di etica alla norvegese (dal Sole 24 Ore)

E' necessario un nuovo è più intenso paradigma di CSR. Essere socialmente responsabili significa, da parte delle imprese, dopo tutto, attivare strategie che sono orientate allo sviluppo sociale complessivo. L'articolo di Riccardo Sorrentino sul Sole 24 Ore mi da lo spunto per “denunciare”comportamenti che sono socialmente riprovevoli, ma vengono passati sotto silenzio: i peccati che contrastano l’impegno allo sviluppo.

 

Sole 24 Ore di venerdì 5 gennaio 2007 pag. 8 di Riccardo Sorrentino

La notizia che Sorrentino racconta è certamente emblematica. Sia in positivo che in negativo. Il Government Pension fund della Norvegia, malgrado il nome, non c’entra nulla con le pensioni. E’ un conto presso la Banca Centrale della Norvegia dove il Governo colloca i proventi del petrolio. Sorrentino riferisce che la Banca Centrale Norvegese ha scritto una lettera a Wall Mart, della quale possedeva una piccola partecipazione. In essa accusava la società di sistematiche violazioni dei diritti umani e del lavoro contro minori, donne e dipendenti, a volte puniti e rinchiusi senza motivo. La Wall Mart non ha risposto ed allora la Banca Centrale ha venduto le azioni di Wall Mart. Sorrentino rivela che in tutti i suoi investimenti in aziende la Banca Centrale Norvegese ha un atteggiamento attivo, orientato alla promozione ed alla difesa di comportamenti etici e alla denuncia di comportamenti scorretti nelle imprese nelle quali figura come azionista.

E, poi nel suo ricco articolo che suggerisco vivamente di leggere, racconta che questa ricerca di eticità si sta diffondendo presso molti investitori. Tutto bene, allora? Per un verso certamente sì. Per un altro, però,si rischia di nascondere la vera sfida. Come ho proposto nel mio articolo di apertura di questa sezione di complexlab, è necessario un nuovo è più intenso paradigma di CSR. Esso indica che essere socialmente responsabili significa, da parte delle imprese, dopo tutto, attivare strategie che sono orientate allo sviluppo sociale complessivo.

Questo articolo mi da lo spunto per “denunciare”comportamenti che sono socialmente riprovevoli, ma vengono passati sotto silenzio: i peccati che contrastano l’impegno allo sviluppo. Ne propongo alcuni.

Il primo “peccato”: l’auto costruzione della competizione

Gli attori economici (invece di “imprese” preferisco utilizzare l’espressione “attori economici” che suggerisce l’esistenza di altri tipi di attori o di altre dimensioni del fare impresa) stanno creando da soli quella competizione che sta distruggendo la loro capacità di produrre valore. Stiamo, ancora una volta tutti insieme appassionatamente, perdendo di vista semplici, ma fondamentali verità:

  • Mercato non è sinonimo di competizione Il mercato è caratterizzato dal fiorire di opportunità
  • La competizione è la conseguenza del fatto che gli attori economici non riescono a vedere e perseguire queste opportunità

Queste considerazioni portano alla conclusione che uno di comportamenti più immorali è perdere tempo a ricorrere competitività perché, così facendo, si danneggia la capacità di produrre valore di una impresa. E’ davvero ingenua la polemica intorno all’ “egoismo” dell’imprenditore. Il problema non è frenare lo smodato desiderio di ricchezza dell’imprenditore. Il problema veramente grave è la sua incapacità “cognitiva” di vedere e perseguire le nuove opportunità.

Il secondo “peccato”: non impegnarsi nell’innovazione profonda

Esistono opportunità evidenti di innovazione profonda che potrebbero portare ad uno sviluppo non solo delle capacità di produrre valore delle imprese, ma anche ad un progresso sociale complessivo. Credo che il fatto che non vengano perseguite sia un atto di irresponsabilità sociale. Proporrò due esempi concreti: le banche e le assicurazioni.

Banche

Le banche sono ancorate al ruolo sociale che la tradizione ha loro assegnato: quella di intermediari finanziari. Nel corso degli anni questa funzione si è arricchita fino a farle diventare fornitrici di un sistema complesso di servizi finanziari. Ma non ha fatto un salto di qualità verso la definizione di un nuovo ruolo sociale. Quale potrebbe essere questo ruolo? Tentando una breve sintesi: potrebbe essere quello di fornire non solo risorse e servizi finanziari, ma anche conoscenza e servizi di imprenditorialità. Cioè tutte quelle metafore, metodologie  strumenti che permettano agli imprenditori di progettare una nuova impresa ed uscire dal circolo vizioso della competizione/competitività. Le banche stanno trascurando completamente questa opportunità perché stanno, invece, di consolidare il loro ruolo tradizionale attraverso processi di fusioni ed acquisizioni. Questa rinuncia alla innovazione profonda non permette agli imprenditori di disporre di strumenti essenziali, ma oggi non disponibili per lo sviluppo delle imprese. E genera una riduzione complessiva dellìoccupazione. Sia per lka mancanza di sviluppo del sistema delle imprese, sia nel sistema bancario stesso. Infatti se si scegliesse una strategia di rivoluzione del fare banca, si aumenterebbe il fabbisogno di personal. SE si persegue una competitività di efficienza si riduce invece questo fabbisogno

Compagnie di assicurazione

Oggi vi sono crescenti difficoltà a definire un nuovo modello di Stato Sociale perché gli attori coinvolti nel dibattito per progettarlo sono in conflitto vivacissimo tra di loro e con le Istituzioni (soprattutto il Governo), trincerati a difendere ideologie, rendite di posizioni ed equilibri di potere. Ora, senza un nuovo modello di Stato Sociale come contesto di riferimento una compagnia di assicurazione non sa che pesci pigliare. Ed è costretta ad attendere che il conflitto sfoci da qualche parte. Ma il formarsi di una soluzione può richiedere tempi lunghi e produrre un modello di Stato Sociale che ha molte probabilità di essere raffazzonato e contraddittorio. Rendendo così praticamente impossibile l’azione di business di una compagnia di assicurazione che volesse operare nel business dei servizi sociale (soprattutto previdenza e sanità).

Nell’attesa che si costruisca un nuovo Stato Sociale, l’attività delle compagnie di Assicurazione nel business del servizi sociale è, oggi, marginale ed opportunistica. Ed è di attesa che qualcuno riesca a sbrogliare la matassa del conflitto. Ecco, io credo che questo atteggiamento attendista sia un grave peccato di omissione. Cosa si potrebbe fare alternativamente? Occorrerebbe che le compagnie attivassero un nuovo tipo di imprenditorialità che non si limita a immaginare i servizi da erogare, ma si ponesse anche l’obiettivo di creare il contesto in cui questi servizi diventano desiderati e possibili. Detto più precisamente: sarebbe necessario che le compagnie di assicurazione attivassero quella che ho definito “imprenditorialità sociale”. In concreto, occorrerebbe che le compagnie di assicurazione apprendessero ed utilizzassero le nuove tecniche di progettualità sociale che sono oggi disponibili. Attraverso di esse potrebbero trasformare le attuali relazioni conflittuale in un dialogo progettuale che potrebbe generare un nuovo modello di stato sociale. Esso sarebbe giudicato “buono e giusto” da tutti coloro che avrebbero partecipato a progettarlo. In questo modo porterebbero creare (invece di attendere a lungo ed invano) il contesto nel quale attivare la normale progettualità strategica a livello di impresa per assumere quel ruolo che verrebbe specificato nel nuovo modello di Stato Sociale. Questa nuova imprenditorialità sociale non comporterebbe uno sconfinamento del ruolo imprenditoriale, ma l’invenzione di una nuova imprenditorialità che si esprime prima nel sociale e poi nell’economico. Una nuova imprenditorialità necessaria per tutti coloro che vogliono assumere l’onere e l’onore di operare in business di elevato significato sociale.

Il terzo “peccato”: la conoscenza dimenticata

Oggi esiste una nuova conoscenza capace di rivelare le “leggi” di evoluzione dei sistemi complessi. E, quindi, di fornire nuovi strumenti di gestione di questa evoluzione. Ebbene tutta questa conoscenza è praticamente sconosciuta alle imprese. Che, oramai, hanno rinunciato alla speranza che siano possibili progressi rilevanti nelle conoscenze e nelle competenze manageriali. Tanto che i corsi di formazione stanno diventando sempre più soltanto professionali. E il top management mostra un disinteresse profondo verso la formazione. Credo che questa rinuncia non sia socialmente feconda. Certo esistono molto istigatori di questo spirito di rinuncia. E sono tutti i formatori e i consulenti che, per primi, rinunciano alla ricerca della innovazione.

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Francesco Zanotti

Francesco Zanotti

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