In realtà il titolo dell’articolo di Edoardo De Biasi sul Sole di Domenica 18 febbraio è : “Se i destini personali contano più delle aziende”. Ma credo che l’autore possa accettare questo cambio di titolazione ricordando il “ … il tempo che passaro i Mori d’Africa il mare ed in Francia nocquer tanto.”.
Cambio di titolo per dare ulteriore smalto ad un articolo con il quale sono completamente d’accordo, tanto da sentire il bisogno di fornire un contributo perché il tema non sfugga, ma venga dibattuto, approfondito.
Due parole di sintesi di un articolo che merita di essere letto per intero. L’Autore, in sostanza, stigmatizza la personalizzazione degli scontri di potere nell’economia attuale citando Bazoli, Geronzi, Arpe e Bernheim. Ne individua con preoccupazione le conseguenze: “A nessuno sembrano comunque interessare più i piani di sviluppo di RCS, la strategia delle Generali o il destino di Mediobanca”. E, poi, propone l’interpretazione di un “anonimo” ex amministratore delegato della Comit: “E’ tutta colpa delle stock option”.
Ecco credo che la personalizzazione e la pubblicizzazione dello scontro economico tra potentati siano da stigmatizzare, anche se rimanessero “nascosti” come erano un tempo. Ma credo che l’analisi possa e debba essere più vasta. Credo che alla base di questi comportamenti vi sia un fattore distorcente fondamentale: quello di “creare valore per gli azionisti”. E’ un valore troppo parziale perché gli “azionisti” non hanno come interesse solo l’aumento di valore delle azioni. Non sono investitori istituzionali, ma, oggi, sono sostanzialmente un popolo. Vorrei “incarnare” il discorso in un caso concreto: le banche.
Oggi davvero gli azionisti delle grandi banche sono un popolo. Se ad esempio si guardano gli azionisti di Unicredit, si vede che la somma di tutti coloro che hanno più del 2% del capitale non arriva al 25% del capitale totale. Agli azionisti-popolo di una grande banca interessa certamente il valore delle azioni, ma interessa di più l’occupazione (sono anche dipendenti); la riduzione del costo dei servizi (sono anche clienti); una nuova attenzione verso le imprese (sono dipendenti di queste). Se si ha in mente il valore per gli azionisti istituzionali, si intende l’economia come un gioco di potere. Se si accetta che il riferimento dell’azione siano gli interessi di un sistema complesso di stakeholders, allora il centro dell’attenzione diventano proprio i temi dei quali, sostiene De Biase, oggi non importa nulla a nessuno. Infatti per ristrutturare il sistema bancario non ci si porrebbe più come obiettivo di buttar fuori persone, ma quello di sviluppare nuovi sistemi di servizi che necessitano di nuove persone.
Mi riferisco, ad esempio, a un nuovo sistema di servizi per lo sviluppo dei territori. E’ vero che molte banche hanno iniziato a camminare verso i territori, ma senza modificare il loro sistema d’offerta: continuano ad offrire solo finanza, mentre sarebbe indispensabile fornire conoscenza. Non è il caso di approfondire in questa sede questa proposta. Chi volesse può leggere: “La responsabilità sociale per lo sviluppo dei territori”.
Tocca certamente anche agli azionisti popolo far sentire la propria voce. Essa dovrebbe essere un richiamo forte perché il top management ritorni ad occuparsi di temi imprenditoriali (come immaginare nuovi sistemi d’offerta) e lasci perdere l’obiettivo di cercare di occupare poltrone sempre più importanti. Un bellissimo segnale sarebbe che il top management ritornasse a fare formazione, affermando così di essere affamato di conoscenza e non di potere.