E’ di oggi (25 ottobre 2007) la notizia che la FIAT ha deciso unilateralmente un aumento di 30 Euro in acconto all’aumento che sarà previsto dal prossimo contratto. Buona notizia per i lavoratori, certamente. Ma anche una buona occasione per proporre qualche ripensamento.
Un ripensamento delle relazioni industriali, ascoltando la sociologia. Il Corriere titola: gelo dei sindacati. Gli altri giornali raccontano reazioni che non sono certo di entusiasmo, ma di sospetto. In sostanza, sindacati hanno visto nella mossa della FIAT un disegno perverso di un padronato sempre più retrivo che cerca di dividere i sindacati dai lavoratori.
Ora, chiediamoci: quale è l’obiettivo costitutivo di un attore sociale? Quello di affermare la sua identità. Attenzione, non è un obiettivo perverso, ma è assolutamente naturale. Questo vuol dire che gli obiettivi (sostanzialmente di difesa di interessi) che un attore sociale dichiara sono solo strumentali alla affermazione della sua identità (e della identità delle sue classi dirigenti). Questa “legge” sociologica, da un lato, spiega la reazione dei sindacati: la “mossa” della FIAT è stata oggettivamente (non intenzionalmente) la negazione dell’identità di un sindacato inevitabilmente interessato innanzitutto ad affermarla.
E suggerisce che il modo di dialogare con il sindacato non può essere la negoziazione, ma il coinvolgimento progettuale. Che non significa co-gestione. Significa che il sindacato diventa il catalizzatore delle energie e delle proposte di innovazione dei lavoratori. Credo che questo coinvolgimento progettuale (forse dei lavoratori, ma non attraverso i sindacati) sia la prassi di tutte le imprese che si potrebbero permettere di concedere l’aumento salariale richiesto.
Un ripensamento delle strategie industriali. Se le imprese sono così restie a siglare il nuovo contratto è probabile che sia perché alle imprese stesse mancano i soldi. Non pensiamo alle imprese eccellenti che se lo potrebbero permettere. Pensiamo al tessuto delle PMI che hanno prodotti di medio bassa tecnologia e di medio bassa qualità.
Allora il problema è quello di rinnovare i sistemi d’offerta e le organizzazioni di queste imprese. Credo che per descrivere questo obiettivo non basti la parola competitività perché essa suggerisce solo di diventare migliori dei concorrenti. Qui il problema non è di fare meglio degli altri, ma è di rinnovare profondamente. Credo. Allora, che questa sfida possa più comunicativamente chiamarsi: reimprenditorializzazione. Io credo che questo possa davvero avvenire solo attivando una nuova alleanza progettuale con i sindacati e i lavoratori.
Allarghiamo il discorso. In molti settori economici non solo si cerca di ridurre gli aumenti salariali, ma si cerca anche di ridurre l’occupazione. Si giustifica questo con il nobile fine dell’aumento dell’efficienza. Ma viene il sospetto che si sia costretti all’avarizia e alla riduzione dell’occupazione solo per carenza di iniziativa imprenditoriale. Se si osserva che, curiosamente, sono proprio questi settori a professare il valore della responsabilità sociale, non si può che essere presi da sconforto. E dalla voglia di urlare: guardate che la vera responsabilità sociale sta nel coraggio della ricerca dello sviluppo attraverso la ridiscussione delle proprie identità imprenditoriali, non della loro conservazione.
Un ripensamento del management. Oggi siamo tutti ancora impastati di miti manageriali come il Management by Objectives e tutte quelle “competenzucole”, dalla comunicazione alla negoziazione, che costituiscono una zavorra di conservazione che costa socialmente il peso dell’aumento dei conflitti e della diminuzione della capacità di produrre valore del nostro sistema economico. Occorre immaginare un nuovo management che possa stimolare una nuova stagione di progettualità “sociale”. E’ possibile se si utilizzano i risultati proposti dalla metafora della complessità che rivela, sostanzialmente, i segreti dello sviluppo imprenditoriale e le modalità attraverso le quali riavviare una nuova ed intensa progettualità diffusa.