bollino ceralaccato

La Partecipazione: un Paradiso Terrestre

Significato biologico e informazionale della partecipazione, con particolare enfasi sulle aziende e sui 'falsi idoli' della sua reale proprietà e del suo vero scopo. Il ruolo della tecnologia con gli Ambienti di Lavoro Collaborativi.

I Paradisi Terrestri:  La Partecipazione

Chi non è mai parte di un problema, è il problema !

PREMESSA

“Libertà è Partecipazione” è la verità cantata dal saggio Giorgio Gaber.

Nessuno ha ancora cantato “La Salute è Partecipazione”, nel qual caso avremmo individuato un primo ‘luogo’ di realizzazione del benessere professionale. Avremmo forse anche individuato tra tanta quotidiana complessità, caos e incessanti cambiamenti ciò che il “riccio” sa (“La volpe sa molte cose, il riccio una sola, ma grande.” – Archiloco, VII sec. a.C.).

Infine, con tale consapevolezza potremmo finalmente utilizzare al meglio le più moderne tecnologie comunicative per garantire una migliore partecipazione e con essa un più stabile benessere psicofisico, come vedremo.

La ricerca della Salute e della Libertà perduta in tanti ambienti lavorativi ci porta a intravedere un primo ‘luogo’ di benessere psico-fisico, un primo ‘Paradiso’ lavorativo.

Un Paradiso Terrestre, perché ogni vero Paradiso è solo su questa Terra, l’Inferno è non saperlo.

Ma può la Partecipazione essere sufficiente a istituire un Paradiso Terrestre per chi lavora?  Perché essa è così benefica e vitale?  Perché infine si assiste a tanti inefficaci, e persino controproducenti, tentativi di diffonderla tra i lavoratori proprio da parte di Aziende culturalmente evolute che ne hanno colta l’importanza?

LA PARTECIPAZIONE

Per comprendere appieno tali domande e scorgere le possibili risposte, è necessario smantellare due ‘falsi idoli’ che ingabbiano molte menti in una percezione appena superficiale delle Aziende:

  • il loro scopo, e
  • la loro appartenenza.

Chi crede fermamente che sia il profitto lo scopo delle Aziende, e che le Aziende appartengano agli azionisti, smetta pure qui di leggere.

Le Aziende sono dei complessi organismi socio-biologici, che sottostanno alle stesse inderogabili leggi valide per gli organismi biologici: la selezione naturale, la ereditarietà, la speciazione, la trasmissione di virus (culturali in questo caso).

Le Aziende vivono ed evolvono in un habitat che impone inappellabili criteri e principi di sopravvivenza, e questo habitat è la Società, ossia un organismo superiore, come la savana per tanti animali e la biosfera per tutti gli esseri viventi, che a sua volta ubbidisce alla suprema legge del mantenimento del  proprio equilibrio dinamico.

E’ quindi il contesto sociale che impone alle Aziende il loro vero e più profondo, spesso troppo profondo per essere compreso, scopo:  istituire e mantenere uno specifico ordine ed equilibrio sociale mediante la creazione di posti di lavoro.

E’ la Società a utilizzare i suoi “organi” interni, tra questi le Aziende, per garantire equilibrio e continuità.  Non sono certamente invece le Aziende a poter sfruttare il sistema sociale, tanto meno nel lungo periodo, come un mezzo finalizzato all’incremento del proprio profitto; la reazione “ambientale” non tarderà a colpire.

Il profitto è il nutrimento delle Aziende, e in quanto tale è un mezzo, seppur necessario per vivere, ma non un fine; quando lo diventa, si entra in situazioni di patologia, analogamente a quanto avviene in casi di cronica obesità o di bulimia.

La giusta misura di questo essenziale nutrimento di ogni sistema reale, quindi “complesso” e “caotico”, può solo essere regolato da uno scopo superiore, del quale il profitto sia uno dei mezzi di realizzazione: la creazione e mantenimento di posti di lavoro, quali strumenti essenziali ed efficaci di controllo sociale.

Passiamo ora all’altra ‘miopia’ culturale relativa al concetto di appartenenza dell’Azienda.  Parto subito precisando che l’Azienda non appartiene agli azionisti (ossia coloro che v’investono soltanto il pur indispensabile denaro) più di quanto i figli appartengano alla madre.  Così come una madre può vedersi sottrarre i figli da una Società che impone superiori finalità di Cura della prole, così un qualsiasi imprenditore e azionista può vedersi sottrarre ciò che ha intrapreso e organizzato dal Mercato, dalla sua personale cattiva reputazione o dalla… guardia di finanza.   I ‘padroni’ licenziati per mancanza di Cura non stupiscono nessuno, ma tutti hanno difficoltà ad accettare il fatto che le Aziende non appartengano solo ai padroni, bensì anche alla Società, a chi v’investe conoscenze ed entusiasmo e a chi partecipa.

I padroni veri sono legittimamente tali in virtù di una superiore cura, preoccupazione e partecipazione.

Parte-cipazione implica prendere parte ai problemi e ai successi con qualsiasi forma di materia e energia, e ciò è il presupposto dell’ap-partenenza.

Possiamo ora comprendere che i Lavoratori, le Aziende, la Società (potrei continuare con la Natura, la Biosfera, la Terra...) sono tutti organismi integrati in organismi di livello superiore, che mantengono rapporti d’equilibrio tra loro in virtù di uno scambio continuo e bidirezionale di informazioni. Questa è la legge fondamentale di tutti i sistemi viventi, e non solo, stabili.

Il concetto di ap-partenenza implica avere una parte di, o in, qualcosa, e si ha parte di un’organizzazione soltanto se si partecipa attivamente allo scambio bidirezionale di informazioni.

E’ evidente quindi quanta importanza rivesta l’apparentemente astratta Teoria dell’Informazione, nata 50 anni fa, nella nostra vita quotidiana, e quanto noi stessi viviamo in, e soprattutto di, tali scambi bidirezionali d’informazioni.

Percepire ed elaborare un flusso d’informazioni con l’ambiente intorno a noi (Azienda, Società o Natura che sia…) equivale a essere vivi, e i nostri sistemi nervosi, endocrini e immunitari si attivano coerentemente per tale vitale funzione in noi geneticamente programmata (“a livello hardware”).

Essere tagliati fuori dai flussi comunicativi attiva in noi, in misura dell’importanza e del livello di assenza di tali flussi, meccanismi di autodistruzione.

Partecipazione è essere parte di un flusso bidirezionale d’informazione.   Partecipare non è soltanto un’opzione: è una necessità esistenziale!

In assenza di Partecipazione, scattano meccanismi cerebrali che attivano emozioni, comportamenti e disturbi ben specifici: senso d’inutilità, irritabilità, risentimento, problemi gastrointestinali, indebolimento del sistema immunitario, dermatiti, dolori muscolari e articolari, insonnia.

I “tecnici del mobbing”conoscono molto bene tutto ciò, ed è quindi molto semplice per loro indurre collaboratori ad abbandonare l’azienda ‘spintaneamente’… basta ridurre o interrompere il flusso bidirezionale d’informazioni con loro, ossia la loro partecipazione.

Ma, per fortuna, anche i “tecnici della motivazione” di Aziende culturalmente avanzate conoscono molto bene i meccanismi psicobiologici attivati dalla partecipazione.  Sono encomiabili gli sforzi e la fantasia profusi per rendere le persone più contente e motivate mediante svariati surrogati della vera partecipazione: il lavoro in team, i premi di produzione, i bonus legati a obiettivi, le stock options.

Peccato che, come è sempre più evidente, gli effetti controproducenti di tutte queste interessanti idee superano i loro benefici a causa della loro applicazione semplicistica e lineare, ignorando le leggi fisiche della circolarità,  psicologiche del “doppio legame” e cognitive dei condizionamenti culturali (attraverso virulenti memi).

Ciò deriva a sua volta dalla semplicità dei nostri modelli culturali che misurano sia l’appartenenza di un’Azienda, sia il suo fine sulla base del primo dato visibile, concreto e banalmente quantificabile: rispettivamente, i soldi investiti (il capitale azionario) e i soldi ottenuti (il profitto).

La soluzione definitiva richiede una rivoluzione, già in atto, che trasformi le Aziende da Società per Azioni in Società a Capitale Umano, laddove il capitale e le immobilizzazioni immateriali includano anche una valorizzazione delle certificazioni tecnico-professionali acquisite, degli anni di esperienza accumulati  e una quantificazione più oggettiva della qualità del lavoro svolto.

Il “circolo virtuoso” di autoregolazione (feedback) va poi chiuso con la partecipazione della Società civile mediante forme di incentivazione fiscale in presenza di “capitali umani” in crescita  all’interno di ciascuna Azienda.

Mi viene in mente “Imagine” di John Lennon: “Potresti pensare che io sia un sognatore, ma non sono l’unico …

Non sono quindi le visionarie Società a Capitale Umano che dovremmo andare a istituire, ma, molto più pragmaticamente, avere piena consapevolezza dei fondamenti essenziali della partecipazione e muoverci almeno nella direzione di tali ideali società, istituendo persistenti e, soprattutto, tempestivi meccanismi di riconoscimento (non solo economico, anzi …).

Solo così, in pratica, si garantirà una comunicazione pragmatica bidirezionale; solo così si giungerà a quantificare in modo sempre meno soggettivo e labile il valore delle certificazioni tecnico-professionali ottenute, degli anni d’esperienza specifica maturati e della qualità del lavoro svolto (in termini di conformità a quanto stabilito in precedenza).

La soluzione risiede nello stesso problema: i problemi scaturiscono dalla inconsapevolezza dei meccanismi e delle leggi che regolano profondamente i rapporti umani nel mondo del lavoro; la soluzione è ispirata invece proprio da tale piena consapevolezza.

Consapevolezza della tua necessità fisiologica di partecipazione, soprattutto quando qualcuno vuole tagliarti fuori dal flusso delle informazioni.

Consapevolezza nel fatto che l’Azienda è anche tua.

Soltanto chi ama ciò che fa, il proprio Lavoro o la propria Azienda, potrà cambiarli in modo da esaltare le possibilità di partecipazione.

Chi invece si arena ai bordi del flusso comunicativo, e si trova coinvolto solo marginalmente nelle attività, innesca un doppio processo, un circolo vizioso; da una parte un processo di propria demotivazione, risentimento verso l’organizzazione e di sfiducia in sé e nei colleghi; dall’altra un processo di maggiore e più motivata esclusione, ritorsioni e persino disprezzo dai colleghi.

L’indice più evidente di tale situazione cronica è il fatto di … non sbagliare mai, di non essere parte di alcun problema, poiché “solo chi lavora, può sbagliare”.

Chi non è mai parte di un problema, evidenzia quindi un problema di livello superiore, che riguarda non solo se stesso, ma anche e soprattutto i propri referenti gerarchici.

L’instaurare e perpetuare un tale circolo vizioso è contro la vera natura umana, che necessita di partecipazione, e danneggia sia chi non partecipa più, sia la “squadra”; ciò richiama la responsabilità anche di chi può e deve condizionare l’ambiente lavorativo.

Certo, prendere l’iniziativa e voler rischiare di sbagliare quando ci si trova arenato in una situazione di alienazione non è facile, né ha sempre senso, ma talvolta sì, come raccomanda la Teoria dei Giochi con l’adozione di “strategie miste”, che incontreremo in articoli futuri.

Partecipare almeno occasionalmente a un’attività o essere coinvolto in almeno un problema da risolvere, è l’antidoto sia contro la progressiva esclusione, sia a favore della ricerca della salute perduta; è il piccolo Eden in cui si realizzano, insieme, lo scopo profondo delle Aziende e quello dei suoi collaboratori: creare, o almeno mantenere, posti di lavoro – tra questi il tuo!

Le più attuali tecnologie di comunicazione e di condivisione sono strumenti ideali per lo sviluppo e la partecipazione del capitale umano in organizzazioni sempre più complesse e distribuite.

Creare le possibilità concrete, pratiche ed economiche per superare barriere logistiche, culturali e di handicap fisico permette l’immediata liberazione di inestimabili energie creative e imprenditoriali; questo lo scopo degli 'Ambienti di Lavoro Collaborativi in Rete', avanguardia delle applicazioni internet per disseminare e condividere sia conoscenza sia conoscenze.

Non a caso la comunità europea annovera questo tema tra le priorità di sviluppo tecnologico e d’investimento finanziario per la “Società dell’Informazione”e alcune aziende italiane sono in prima linea in questi progetti di ricerca e sviluppo.

Per lavorare bene, per partecipare meglio e per il ben-essere di tutti.

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Nicola Antonucci

Nicola Antonucci

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