Riflessi economici di sapienza, saggezza e tecnicità.
Aristotele  distinse per la prima volta la sapienza dalla saggezza, fino a Platone i  due termini indicavano semplicemente la condotta razionale della vita  umana, cioè la saggezza.Aristotele individua nella sapienza il grado di  conoscenza più alto, pertanto più certo e più completo, degna delle cose  più eccellenti.    L’oggetto specifico della sapienza è quindi il  necessario, quello che non può essere altrimenti e può sfociare nelle  filosofie contemplative, lontane dalle filosofie pratiche che si  interessano del comportamento razionale dell’Uomo in ogni campo e di ciò  che è bene o male per l’Uomo, ossia della saggezza nella condotta.
Questa  distinzione può sfociare in un distacco assoluto dalle umane vicende,  come già osservato da Dewey, confermando per tal via l’esistente, ma può  anche fondare l’essenza delle scienze naturali.    Cartesio e Leibniz  uniscono l’aspetto teoretico all’aspetto pratico e nell’includere  l’aspetto pratico rifiutano l’ideale della sapienza come sfera superiore  e staccata dalle problematiche umane, fino a giungere con Hegel e  Schopenhaur ad assolutizzare il carattere umano e mondano della saggezza  (saggezza mondana), intendendo per essa l’arte di trascorrere la vita  nel modo più felice possibile.
La sapienza in termini  moderni è stata ripresa da W. James come sapere, secondo la distinzione  tra conoscere una cosa, come semplice familiarità con questo oggetto, e  avere una conoscenza magari circoscritta ma scientificamente esatta,  circostanza già descritta da J. Grote.
 Russell distingue tra  esperienza diretta e conoscenza circa, ossia fra le cose che ci sono  immediatamente presenti e quelle che noi raggiungiamo solo per mezzo di  frasi detonanti, ma il sapere può essere visto anche come scienza,  conoscenza in qualche modo garantita nella sua verità, significato che  solo in apparenza è contrapposto agli usi di James e Russell in quanto  parte di essi.
 In questo dibattito si pone l’Uomo come  auto-progettazione possibile, visione sostenuta sia dall’esistenzialismo  che dallo strumentalismo americano, i quali sostengono che l’Uomo è  costantemente problema a se stesso e  contemporaneamente sua soluzione,  che egli progetta e crea il suo modo di vivere realizzandolo. La  progettualità è tuttavia limitata dagli stessi dati di cui si avvale,  pertanto il passato condiziona entro limiti più o meno estesi il futuro  dell’Uomo.
 Come sostenuto dall’esistenzialismo positivo,  l’evoluzione di per sé non ha alcuno scopo è l’Uomo che deve dare uno  scopo a se stesso (Dewey, Simpson), anche se l’Uomo, come espressione  dell’autocoscienza della natura, può  tuttavia vedersi quale suo  strumento.
 In questi termini interviene il tecnicismo, ossia la  riduzione della saggezza nella conoscenza tecnica della manipolazione  della natura, ai fini economici l’unico aspetto culturale che interessa,  risultando addirittura pericoloso in termini di manipolazione del  marketing la formazione dell’uomo secondo l’antico modello di saggezza,  ossia valutazione di ciò che è bene o male per esso.
 Questo  risulta funzionale ai modelli attuali di istruzione che si riducono in  molti casi ad aspetti puramente tecnici, saltando la formazione critica  della personalità nel suo complesso, circostanza senz’altro favorita  dalla riduzione della qualità per il crescere della massa e dalla  necessità di contenere le risorse immesse nel sistema. La riduzione  tecnicistica si trova a qualsiasi livello di istruzione, dalle superiori  all’università, favorita dalla frantumazione del sapere e quindi di  riflesso dello spirito dell’Uomo, trasformato in puro elemento meccanico  smontabile e ricomponibile, quindi economicamente valutabile.
 La  forma unitaria dell’ essere si ricrea in termini elitari, come qualcosa  che spetta esclusivamente per costi e sforzi ad una fascia ristretta.
Nota
•    N. Abbagnano, Storia della filosofia, Utet, 1974
 
