La risposta dipende molto dalla propria personale consapevolezza e propensione all’ “Effetto Macbeth” ( più drammaticamente noto come “Effetto Vietnam”): per non rinunciare a quanto già investito e profuso, si persegue ostinatamente un obiettivo per finire in situazioni ancora più critiche e drammatiche.
Il costo di un salvataggio e successivo rilancio non possono prescindere da tanti aspetti anche emotivi, affettivi e familiari troppo spesso determinanti nelle PMI italiane, prive di management e di contributi esterni più ‘asettici’. Il primo presupposto di un intervento efficace, tempestivo e, talvolta, rischioso, è (come avviene in campo chirurgico) una presenza competente e aggiornata che sia esterna all’azienda – certo più distaccata, ma anche più fredda e concentrata sull’obiettivo di salvataggio e rilancio.
Il costo vero, quindi, è sia psicologico (ossia, accettare ‘un terzo’ che si occupi e si preoccupi della propria ‘creatura’) , sia economico (ossia, accettare un costo aggiuntivo, limitato nel tempo e in qualche misura legata agli obiettivi).
Sul primo costo, è l’imprenditore-creatore dell’impresa in crisi che dovrà mettersi una mano sulla coscienza (e anche sull’orgoglio…).
Sul secondo costo l’imprenditore dovrà ragionare sul ‘valore’ in gioco, ossia il valore necessario alla sua impresa per essere salvata e rilanciata. Tra interventi di ristrutturazione del debito, di ‘temporary management’ e di private equity, il costo può oscillare, in funzione della criticità della situazione, tra il 2 e l’8 percento, a puro titolo indicativo e non propositivo o vincolante.
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