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ComplexLife: IL MONDO NUOVO

L’ampiezza e la profondità dei complessi e "circolari" fenomeni trasformativi in atto in questa fase storica giustifica ampiamente il riferimento al noto testo di Huxley, senza per questo condividere la vena pessimistica della sua feroce utopia negativa sulle future sorti dell’umanità. Cercheremo ora di ripercorrere brevemente gli elementi salienti delle trasformazioni in atto.

 

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(Per chiarimenti e consulenza: prof. Oliviero Tronconi,  oliviero.tronconi@polimi.it , 02 23995896 )

 

 

IL MONDO NUOVO

L’ampiezza e la profondità dei fenomeni trasformativi in atto in questa fase storica giustifica ampiamente il riferimento al noto testo di Huxley, senza per questo condividere la vena pessimistica della sua feroce utopia negativa sulle future sorti dell’umanità.

Cercheremo ora di ripercorrere brevemente gli elementi salienti delle trasformazioni in atto.

 

Le trasformazioni economiche e geopolitiche

Lo sviluppo impetuoso di Cina, India e dei paesi dell’est asiatico quali Corea, Vietnam, Malesia, Taiwan, ecc. ha determinato nuovi equilibri a livello mondiale, sia politici, che economici.

Di fatto gli USA e soprattutto l’Europa ed il Giappone devono affrontare una sempre crescente perdita di peso economico.

Da qualche tempo si evidenzia anche la crescita economica di alcuni paesi dell’America Latina in particolare del Brasile e della Russia, che ormai stabilizzata politicamente e superate le difficoltà dell’immediato post comunismo si avvia a grandi passi a riconquistare economicamente il primario ruolo prima assunto in chiave politica.

Il nuovo scenario internazionale e gli equilibri economici che hanno caratterizzato il XX secolo risultano così profondamente modificati, senza per contro che siano stati messi a punto sul piano internazionale strumenti politici di governo-controllo della nuova situazione.

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“In questo mondo dominato dalla mobilità, le premesse e le risultanze economiche trans o multinazionali hanno di gran lunga preso il sopravvento rispetto alla tradizionale organizzazione della società globale basata su rapporti inter-nazionali, regolati da realtà statuali centralizzate e separate le une dalle altre.

All’ordine inter-nazionale tende oggi a sostituirsi un nuovo ordine, o “dis-ordine” glocale che influenza in modo decisivo sia i rapporti tra i loci concreti e la dimensione globale, sia il modo di relazionarsi e di organizzarsi in rete dei loci stessi. Si tratta di un’autentica rivoluzione, culturale e politica”. (Piero Bassetti, “Glocalizzazione e Finanza”, Notiziario della Banca Popolare di Sondrio, n. 106, Aprile 2008. )

Le nuove polarità economiche hanno provocato profonde influenze sulle dinamiche finanziarie, delle materie prime e del capitale umano/intellettuale.

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dell’iceberg, con il conseguente aumento dei prezzi che tanto ha penalizzato l’economia dei paesi europei e seppur in misura minore anche quella USA.

Le nuove polarità economiche manifestano enormi potenzialità economiche.

 

Si sono già avute le prime evidenze di queste potenzialità attraverso lo sviluppo di Fondi di investimento sovrani cinesi e indiani e di alcuni paesi arabi (questi ultimi già presenti nei mercati finanziari da alcuni anni) e dei più importanti e spesso trascurati dall’informazione economica, Fondi Pensione, che hanno determinato nuovi equilibri negli investimenti finanziari di buona parte del globo. Nel 2006, il patrimonio complessivo gestito dai 300 maggiori Fondi Pensione ammontava a poco meno di 10.500 miliardi di dollari. Il range entro cui si colloca il patrimonio dei singoli fondi è compreso fra i 935,6 miliardi di dollari del primo fondo (Il Government Pension Investment del Giappone) e gli 8,7 miliardi di dollari dell’ultimo (Sygepleiersker, Danimarca). I primi 10 fondi raccolgono risorse per circa 2.700 miliardi di dollari, rappresentano il 26% delle attività complessivamente gestite da tutti i 300 fondi. Il Government Pension Investment rappresenta il 9% delle attività totali; il Government Pension della Norvegia (secondo in classifica) e l’ABP dell’Olanda (terzo) detengono quote pari, rispettivamente al 2,7% e al 2,6%.

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Quanto alla distribuzione per area geografica, al primo posto si collocano gli Stati Uniti (43% del patrimonio del gruppo dei 300 fondi), seguiti dal Giappone (15%). Negli anni più recenti, gli Stati Uniti hanno visto diminuire il loro peso relativo (45% nel 2005 e 63% nel 2001), come il Giappone, passato dal 18% nel 2005 al 15% nel 2006.

Nell’area europea, il Regno Unito e l’Olanda rappresentano, rispettivamente, il 7,1% e il 6,2% delle risorse complessive dei 300 maggiori fondi.

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Figura 4: Patrimonio totale di tutti i fondi pensione a livello mondiale, 2005 (valori in % di PIL)

Fonte: Ocse (2006), Pension Markets in Focus.

Per l’Italia l’unico fondo presente nella classifica dei primi 300 fondi pensione è l’Enpam – Ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri, che ha un patrimonio di 11,4 miliardi di dollari.

Si osserva inoltre che in alcune economie di dimensioni più ridotte, in termini di ricchezza nazionale e di popolazione, il patrimonio accumulato dai fondi pensione presenta un’elevata incidenza in rapporto al PIL. In particolare, al primo posto dei paesi Ocse si colloca l’Olanda, con un patrimonio gestito pari al 125% del PIL nel 2005; seguono l’Islanda (123% del PIL), la Svizzera (117%), gli Stati Uniti (99%) e il Regno Unito (66%). Francia, Germania e Italia rappresentano i fanalini di coda, con un’incidenza sul PIL pari, rispettivamente, al 5,8%, 3,9% e 2,8%.

 

 

Nel contempo il sistema finanziario internazionale cresciuto enormemente negli ultimi 15/20 anni ha evidenziato come questa crescita, senza una adeguata infrastruttura di regole-controlli, possa originare profonde debolezze e crisi di sistema.

“La turbolenza che ha investito la scorsa estate i mercati finanziari è giunta al culmine di una straordinaria espansione del credito e della finanza, che per molti anni aveva contribuito alla robusta crescita dell’economia mondiale.

Il protrarsi di condizioni macroeconomiche favorevoli, l’abbondante liquidità, i bassi tassi d’interesse reali, avevano accresciuto la quantità di rischio e il grado di indebitamento che mutuatari, investitori e intermediari erano disposti ad assumersi. Il rapido sviluppo dell’innovazione finanziaria ha ampliato le potenzialità del sistema di moltiplicare il credito rispetto al capitale investito. La capacità degli operatori di valutare e gestire i relativi rischi non ha tenuto il passo” [Relazione del Governatore della Banca d’Italia. Considerazioni Finali, Roma, 31 Maggio 2008].

La crisi dei prodotti finanziari subprime legati al mercato immobiliare USA ha prodotto gravi ripercussioni in tutti i paesi e su tutte le principali piazze borsistiche, contribuendo a peggiorare l’andamento dell’economia dei paesi occidentali per tutto il 2007/2008.

“L’innesco della crisi è venuto dal mercato immobiliare americano. In un contesto di rialzo dei tassi di interesse, la caduta dei prezzi delle abitazioni determinava un aumento delle insolvenze sui mutui subprime, rivelandone la rischiosità; i titoli strutturati legati a questo comparto cominciavano a deprezzarsi. I relativi rating venivano abbassati rapidamente e drasticamente. Investitori con un elevato grado di indebitamento dovevano fronteggiare richieste di copertura. Il mutamento della percezione del rischio era improvviso, si estendeva subito a strumenti affini, in altri segmenti di mercato. Finanziare sul mercato monetario il rinnovo dei prodotti strutturati offerti da veicoli di matrice bancaria diventa impossibile. Per impedirne il collasso, le banche sponsor accrescevano fortemente le proprie esigenze di liquidità. Si inaridiva l’offerta di fondi sul mercato interbancario.

Il circuito che aveva sostenuto l’espansione del credito e della finanza si invertiva. La scarsa liquidità, la mutata percezione del rischio, la riduzione del grado di leva si rafforzavano a vicenda. Il forte deprezzamento dei prodotti strutturati si rifletteva sulla valutazione degli stessi attivi bancari; l’incertezza sul livello di esposizione, sull’ammontare delle perdite, sulla solidità patrimoniale delle banche accresceva il rischio di controparte avvertito sul mercato interbancario, rendendo quest’ultimo ancora meno liquido. Costrette a riassorbire le attività cedute e a registrarne la svalutazione, le banche vedevano accrescersi la dimensione e la rigidità dei bilanci, indebolirsi la dotazione di capitale.”

Relazione del Governatore della Banca d’Italia. Considerazioni Finali, Roma, 31 Maggio 2008..

Questa grave crisi ha evidenziato come le economie di tutti i paesi più rilevanti siano strettamente correlate e come questa correlazione possa favorire nelle fasi positive lo sviluppo economico, mentre invece in momenti di crisi possa ampliare e diffonderne gli effetti negativi.

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Lo sviluppo economico, dei sistemi di trasporto (soprattutto il trasporto aereo) e le nuove tecnologie di telecomunicazione, che di fatto ci mettono continuamente in presa diretta con tutti gli avvenimenti a livello mondiale, consentono una diffusione immediata di informazioni e interlocuzioni.

Viviamo in un contesto in cui “tutto confina con tutto” e qualunque avvenimento in un determinato contesto può influenzare profondamente altre dinamiche/settori.

Nel “Villaggio Globale” i “rischi globali” sono in evidente aumento mentre le regole-accordi su come la comunità internazionale possa o debba operare per contrastarli sono lungi dall’essere definiti.

In conclusione la globalizzazione economica e tecnologica ha creato un reticolo di correlazioni che lega strettamente le principali nazioni ed ha permesso lo sviluppo di un mercato a livello mondiale nonché livelli di benessere mai raggiunti prima da buona parte dell’umanità.

Il reticolo di correlazioni dell’economia globalizzata favorisce però anche la diffusione delle crisi da un paese all’altro ed il loro contemporaneo dilatarsi.

Oggi la comunità internazionale inizia a riflettere sulle possibili reazioni per contenere l’effetto delle crisi.

Non a caso il World Economic Forum di Davos del 2008 è stato incentrato sui Rischi Globali e sulle correlazioni di tipo economico, sociali, politiche e persino tecnologiche che molto frequentemente ne sono all’origine.

La recessione economica di una nazione rilevante un attentato terroristico, una epidemia, l’incremento dei prezzi di alcune materie prime, la destabilizzazione politica di un paese, sono tutti fenomeni che già nel recente passato hanno profondamente influenzato in tempi brevissimi ed in modo negativo le dinamiche economiche e sociali del mondo intero.

Non è quindi casuale la sempre crescente attenzione che le imprese e più in generale tutte le organizzazioni riservano alle problematiche del Risk Management e la tendenziale evoluzione di questa disciplina dalle problematiche prevalentemente finanziarie verso una visione complessiva di tutti i rischi dell’impresa: l’Enterprise Risk Management. [Su questo tema vedi: Alberto Floreani, “Introduzione al Risk Management”, ETAS Libri, Milano 2005].

Nel settembre del 2008 a più di un anno dalle prime manifestazioni della crisi essa appare tutt’altro che superata.

Il Governo degli USA ha dovuto intervenire per salvare due dei più grandi operatori dei mutui di quel paese [si tratta di Freddie Mac e Fannie Mae le due maggiori istituzioni finanziarie di assicurazione sui mutui che insieme avevano un valore di attività superiore ai 5 mila miliardi di dollari pari a circa la metà del valore complessivo di questo mercato negli USA.  In precedenza nel marzo 2008 il Governo USA era già intervenuto per fermare la crisi finanziaria con l’inusuale salvataggio della banca di investimenti Bear Stearns], mentre getta sconcerto la notizia che la famosa banca d’investimenti Lehman Brothers fondata nel 1850 è fallita.

La più piccola tra le grandi banche d’affari USA che poco più di un anno addietro era capitalizzata a Wall Street per 40 miliardi di dollari a metà settembre ha dichiarato fallimento, mentre la più grande tra le banche d’affari USA Merrill Lynch è stata messa al riparo dalla tempesta finanziaria che ha investito i mercati di tutto il mondo , grazie all’acquisto di Bank of America per 50 miliardi di dollari.

La più grande organizzazione mondiale in campo assicurativo l’American International Group (AIG) fondata nel 1919 con un fatturato di 110 miliardi di dollari appare in gravi difficoltà: nel giro di un anno il titolo AIG quotato a Wall Street è passato da 70 dollari per azione a 1,98 (quotazione del 17 settembre 2008).

La Fed è intervenuta aprendo una linea di credito per il colosso assicurativo, mentre tutte le autorità bancarie dei paesi più sviluppati si sono attivate immettendo grande liquidità nel sistema finanziario nel tentativo di bloccare una crisi la cui gravità riporta a quella del lontano 1929.

Di fronte alla debacle di alcune importanti strutture finanziarie verificatesi in alcuni paesi le banche centrali sono intervenute con massicce iniezioni di liquidità.

Un comportamento opposto a quello che si verificò durante la “grande crisi” del 1929. Gli USA alfieri del liberismo economico riscoprono in questa fase le teorie Keynesiane dell’intervento pubblico e degli ammortizzatori sociali.

Malgrado questa reazione la crisi finanziaria è ben lungi dall’essere superata e crea grandi preoccupazioni circa i rischi di una vera e propria stagnazione nelle economie dei paesi occidentali.

Negli USA il “misery index” (l’indice della povertà) [il “misery index” è ottenuto sommando il tasso percentuale dell’inflazione 5,7% al tasso percentuale della disoccupazione 6,1%. Dati del secondo trimestre 2008 forniti dalla Federal Reserve USA] ha superato quota 10% e si è assestato nel secondo trimestre del 2008 poco al di sotto del 12% ed esattamente all’11,8%.

Era dal 1992 che questo indice non superava quota 10%.

 

Come reagire alla crisi

Da alcuni anni assistiamo ad una grande trasformazione nei criteri-modalità organizzative e gestionali delle imprese.

Il motore di questa trasformazione è stata la tecnologia nelle sue molteplici declinazioni con una particolare rilevanza per l’informatica e la telematica.

Questa trasformazione ha provocato il declino dei modelli organizzativi verticali in favore delle strutture piatte in grado di assicurare una migliore comunicazione e di responsabilizzare le risorse sugli obiettivi aziendali: è l’impresa leggera e flessibile che utilizza la tecnologia in modo intensivo e innovativo.

Oggigiorno nello scenario preoccupante disegnato dalla grave crisi che investe i mercati finanziari di tutto il mondo come stanno reagendo le imprese?

Quali sono i modelli organizzativi emergenti?

Quali sono le traiettorie di sviluppo e utilizzazione delle tecnologie Information and Communication Technology (ICT) nelle organizzazioni?

Secondo una ricerca svolta da McKinsey alla fine del 2007 [McKinsey, “The organizational challenges of global trends”, 2007] le imprese dovranno affrontare nei prossimi 3-5 anni importanti cambiamenti organizzativi ed anche soprattutto culturali per poter affrontare il nuovo scenario internazionale.

Nelle figure 6 e 7 sono indicati gli elementi salienti emersi dalla ricerca condotta da McKinsey.

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Le principali sfide riguarderanno soprattutto:

- La capacità delle imprese di attrarre e valorizzare persone dotate di grandi capacità (i cosiddetti talenti) posizionandoli in maniera adeguata nel contesto aziendale allo scopo di fidelizzare queste fondamentali risorse.

Questo problema assume particolare rilevanza per l’intensificarsi della competizione internazionale che deriva dalle nuove emergenti polarità economiche, cosa questa, che comporterà per le imprese la necessità di ricercare nuove soluzioni per quanto riguarda i prodotti/servizi ed i relativi processi produttivi, distributivi e per le fondamentali funzioni finanziarie e marketing.

- L’infrastruttura per la comunicazione tecnologica.

Con il concetto di comunicazione tecnologica ci si riferisce alla capacità delle imprese di modificare l’organizzazione e le funzioni operative con adeguata rapidità per beneficiare dell’innovazione tecnologica che, appare evidente, è destinata a caratterizzare sempre più sistematicamente l’universo dei prodotti/servizi nei principali mercati.

Una forte connessione dell’impresa, del suo business con l’innovazione tecnologica determinerà la disponibilità di significativi vantaggi competitivi; mentre le imprese con scarsa capacità di connettersi con l’innovazione tecnologica subiranno evidenti danni a causa di questa manchevolezza.

In un mercato caratterizzato sempre più in termini di “economia della conoscenza” la possibilità di avere accesso in ogni luogo alle informazioni, di dialogare in forma strutturata con i propri interlocutori aziendali e di mercato, di gestire in forma organizzata le informazioni-conoscenze dell’organizzazione avrà sempre maggiore importanza.

La capacità di “informarsi” determina in buona parte la capacità dell’impresa, delle persone di reagire in tempi brevi agli stimoli e novità del mercato.

Quello che viene definito come “ubiquitous access” supportato da una organizzata e rapida circolazione delle informazioni-conoscenze in ambito aziendale, si prefigura come un significativo elemento in grado di incidere sulla complessiva competitività dell’impresa.

- L’invecchiamento della popolazione.

i paesi sviluppati, l’occidente, si troveranno ad affrontare un problema strutturale di grande portata: l’invecchiamento della popolazione con le conseguenze di stasi e spesso di conservatorismo culturale che ne sono la logica conseguenza.

Il problema avrà il suo impatto maggiore sull’Europa ed i dati elaborati dalla Commissione Europea risultano di una evidenza impressionante.

La reazione a questo problema trascende la dimensione aziendale e riguarda i modelli di vita ed i valori del mondo occidentale.

Occorre però considerare che il fenomeno avrà un impatto non piccolo sul piano macro economico e quindi anche per l’universo delle imprese.

Le imprese dovranno reagire curando molto più di quanto avvenga oggi l’arricchimento e l’aggiornamento delle capacità delle risorse e soprattutto del Middle Management.

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Figura 8: Le previsioni demografiche di alcuni paesi europei, 2004-2050

Fonte: Commissione Europea 2006.

 

I paesi europei subiscono un invecchiamento molto marcato della popolazione, mentre i paesi emergenti presentano una popolazione molto più giovane e soprattutto producono molti laureati di buon livello: in media circa il doppio del numero di laureati prodotti dai paesi occidentali.

L’Unione Europea da diversi anni ha varato programmi, in modo particolare con la “Strategia di Lisbona”, per incentivare la scolarizzazione e gli investimenti in R&S (Ricerca e Sviluppo) perché le risorse impiegate in questo settore sono palesemente e gravemente insufficienti.

 

Secondo il rapporto KOK [Relazione di Wim Kok alla Commissione Europea, “L’ampliamento dell’Unione Europea. Risultati e sfide”, 2004] l’Unione Europea investe in R&S l’1,9% del PIL e in istruzione terziaria l’1,4% del PIL, queste entità sono modeste nel confronto con gli Stati Uniti, l’obiettivo ragionevole è di portare in pochi anni entrambe al 3% del PIL.

Della popolazione in età lavorativa (25-64 anni) la UE-15 ha il 38,9% con studi sotto la secondaria superiore, il 37,3% con secondaria superiore e post secondaria, il 13,8% con studi terziari. Gli Stati Uniti hanno rispettivamente 12,3%, 50,3%, 37,3%. Il divario qualitativo è dunque enorme. Nella brevettazione la UE-15 cifra un quarto di quella statunitense per milione di abitanti. L’elenco potrebbe continuare.

Al problema quantità si aggiunge quello qualità che porta a concludere che bisogna investire meglio in conoscenza. Le raccomandazioni finali del “Rapporto KOK” sono dunque: l’investimento addizionale in R&S e in istruzione post-laurea deve concentrarsi soprattutto sulle eccellenze anche per richiamare le migliori qualità da tutto il mondo incentivando i “ritorni” in Europa. Al fine di allocare i fondi si propongono criteri di valutazione assolutamente oggettivi; va creata la European Agency for Science and Research (Ears) sul modello statunitense per garantire che il processo di finanziamento della ricerca sia gestito al meglio; vanno dati crediti di imposta per incoraggiare investimenti privati nella ricerca e specialmente nelle piccole imprese start-up.

 

Il valore dell’innovazione

La fidelizzazione dei dipendenti, il loro costante aggiornamento, la capacità del top management di motivare le risorse ad assumere un effettivo ruolo di leadership, diverranno sempre più importanti.

Dalla ricerca di McKinsey emerge che le imprese (le grandi imprese) hanno aumentato in maniera sensibile la loro capacità di leggere i fenomeni che sono alla base delle grandi trasformazioni in atto.

La capacità di agire per affrontare le nuove sfide è però ancora tutta da costruire e non sarà cosa, né facile, né agevole nella fase di crisi che stiamo attraversando.

Nel rapporto realizzato da McKinsey tutti i top manager intervistati sono concordi nel ritenere che si debba introdurre il tema dell’innovazione all’interno delle priorità aziendali, costruendo un modello e le condizioni che la incoraggino, strutturando i processi in modo che sia possibile assumere i rischi dell’innovazione e che sia possibile l’allineamento ai fenomeni innovativi da parte di tutti i livelli aziendali.

L’innovazione di successo non è solo di prodotto, di servizio, o di processo, ma anche organizzativa, culturale e manageriale. Il successo del processo innovativo deriva infatti da tutte le risorse umane coinvolte e dalla capacità di costruire un flusso bidirezionale tra apprendimento e ideazione: il Learning & Knowledge Management.

Questo principio, anche se semplice, risulta però di difficile attuazione in un mondo multipolare, in cui l’attività di Ricerca e Sviluppo si sono progressivamente spostate dall’asse Europa-USA-Giappone a una molteplicità di soggetti tra i quali spicca la Cina, seguita da USA, India e poi Regno Unito, Germania, Brasile, Giappone, Francia, Italia e Repubblica Ceca [Destinazione di spesa in R&S dal 2004 al 2007, Accenture, “How to capture the essence of innovation”, Outolook 2008, n. 1].

Questa nuova mappa della Ricerca e Sviluppo è caratterizzata da grande ampiezza geografica. Il che significa che si compete globalmente, ma anche che l’innovazione si basa su un network di persone sempre più esteso e geograficamente polarizzato.

L’innovazione non è una direttiva, non può essere realizzata solo dal management, ma invece comporta la piena adesione e coinvolgimento delle risorse che devono concretizzare, far vivere l’innovazione nella pratica quotidiana.

Il confronto, un clima di forte collaborazione all’interno delle organizzazioni genera un processo spontaneo in grado di favorire la capacità ideativa, la produzione di soluzioni nuove.

 

La ricerca dei talenti

La capacità delle imprese di far entrare nella propria organizzazione delle risorse motivate e dotate delle migliori qualità, di favorire la loro crescita e lo sviluppo di capacità ideative e nel contempo di garantire un percorso di carriera adeguato in termini di responsabilità e remunerazione, costituirà sempre più un elemento rilevante per accrescere la competitività aziendale.

Secondo diverse fonti [R. Florida, “L’ascesa della nuova classe creativa. Stili di vita, valori, professioni”, Mondadori, Milano 2003] la ricerca dei talenti determinerà in buona parte il futuro delle imprese.

“Gli economisti parlano dell’istruzione in termini di capitale umano: investendo sulle persone, ci si garantisce un ritorno, proprio come avviene se si investe su un macchinario.

Ma l’istruzione fa di più. Allarga la mente, facendo capire che il cambiamento è possibile, che esistono altri modi per organizzare la produzione e mentre insegna i principi di base della scienza moderna e il ragionamento analitico, aumenta ulteriormente la capacità di imparare.” [J. E. Stiglitz, “La globalizzazione che funziona”, Einaudi, Torino 2006].

Non basta però avere le persone di talento, il management dell’impresa deve essere consapevole dell’importanza di queste risorse ed impegnarsi in un processo sistematico di comunicazione, confronto e coinvolgimento per favorire la loro crescita.

 

In sintesi, occorre definire una precisa strategia per il capitale umano aziendale per riuscire, prima ad individuare e selezionare nel mercato quelle dotate di migliori qualità e successivamente per favorire il loro sviluppo intellettuale.

Il ruolo delle tecnologie Information and Communication Technology (ICT) per la competitività delle imprese

Da diversi anni vi è ormai una diffusa consapevolezza nelle istituzioni europee, nel mondo della ricerca universitaria e nelle imprese più agguerrite sulla stretta relazione tra tecnologie ICT-sviluppo economico di una nazione e più in particolare possibilità di crescere per le imprese.

Una conferma di questo, per quanto riguarda in specifico il mondo delle imprese, arriva da una recente ricerca di Pricewaterhouse Coopers [Pricewaterhouse Coopers, “Compete e Collaborate, 11 Annual Global CEO Survey”, gennaio 2008] che sul tema del rapporto tra tecnologie ICT e crescita dell’impresa ha intervistato 1200 top manager [ad essere intervistati nella ricerca sono stati i CEO (Chief Executive Officer) ovvero gli Amministratori Delegati delle imprese] di organizzazioni operanti in circa 50 paesi.

Il 65% dei manager (CEO) individua l’innovazione, garantita dalla tecnologia ICT, come elemento fondamentale per la competitività dell’organizzazione.

Dalla ricerca emergono anche altri elementi importanti:

  • al secondo posto è collocato il rapporto e la qualità del servizio offerto alla clientela;
  • al terzo posto per importanza viene indicato il problema delle risorse di qualità: la ricerca dei talenti e la loro permanenza nell’impresa.

 

Appaiono di significativa rilevanza anche le altre indicazioni formulate dai CEO intervistati:

  • capacità di adattarsi ai cambiamenti;
  • capacità di sviluppare partnership;
  • miglioramento della Supply Chain Management (SCM);
  • per concludere con l’accesso a risorse scarse e con le esperienze culturali trasversali e internazionali.

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Per quanto riguarda le risorse umane di qualità i cosiddetti talenti le caratteristiche più apprezzate e richieste sono:

- capacità di recepire gli stimoli del mondo esterno all’impresa e di favorire i cambiamenti interni (88% degli intervistati);

- capacità di collaborare con diversi gruppi-funzioni aziendali e di assumere un ruolo propositivo (87% degli intervistati);

- capacità di ideazione e di innovazione operata sul piano culturale e negli specifici ambiti di attività dell’azienda (85% degli intervistati);

- integrare competenza tecnica professionale con l’orientamento al mercato e una forte sensibilità commerciale (67%degli intervistati).

 

I processi collaborativi interni ed esterni alle aziende, la capacità di fare sinergia con altre organizzazioni evidenziano l’importanza che le aziende, consce del fenomeno della globalizzazione culturale-economica e dei mercati, attribuiscono alle “reti di business”: dall’impresa rete alla rete di imprese cooperative.

Ben l’82% dei manager europei intervistati sottolinea la necessità per le imprese del vecchio continente di crescere e svilupparsi nell’economia globalizzata e dichiara il proprio forte interesse per lo sviluppo di “reti collaborative” da gestire con imprese d’altri paesi per incrementare il volume d’affari, la propria reputazione e il proprio brand.

 

Un’altra ricerca condotta da quella che viene considerata la più importante società di ricerca nel campo dell’ICT, Gartner, ha avuto come interlocutori i responsabili dell’infrastruttura info-telematica (CIO, Chief Information Officer) di 1500 organizzazioni [Gartner Group, “Esp WorldWide Survey”, gennaio 2008].

L’obiettivo della ricerca è stato quello di individuare le priorità di business delle organizzazioni intervistate e correlarle agli strumenti tecnologici fondamentali per poterle perseguire efficacemente.

Ben l’85% dei manager intervistati, ritiene che i cambiamenti e gli sviluppi dell’impresa saranno strettamente legati al ruolo ed alle potenzialità offerte dalle tecnologie ICT.

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La ricerca evidenzia come questa percezione sia largamente condivisa dai vertici delle aziende.

Le priorità di business emerse dalla ricerca riguardano:

- il miglioramento dei processi della catena del valore;

- la capacità di attrarre e fidelizzare nuovi clienti;

- la capacità innovativa, sul piano ideativo e realizzativo, di creare nuovi prodotti/servizi;

- la crescita delle imprese in nuovi mercati strettamente legata a relazioni e sinergie con imprese di altri paesi per creare “reti di business”.

 

Per quanto riguarda l’infrastruttura tecnologica le priorità che emergono riguardano:

- soluzioni avanzate di ricerca e gestione delle informazioni (Business Intelligence);

- soluzioni integrate di Enterprise Resource Planning (ERP) e Customer Relationship Management (CRM);

- L’implementazione delle capacità di comunicazione (Server di rete) e di immagazzinare serie di informazioni, track record di attività e più in generale il patrimonio di informazioni prodotto dell’attività aziendale nel tempo (Storage).

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Oliviero Tronconi

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