bollino ceralaccato

ComplexLife: Noncredenza e ateismo prescissivo

Una visione scientemente complessa per vaccinarsi contro le semplificazioni banali della religiosità e della "noncredenza": Con dio? No, è feticistico. Contro dio? No, è donchisciottesco. Senza dio? Sì, prescindendone. Che l’Uomo viva dell’Etica, fatta di Amore, Conoscenza e Liberta’. La felice e vincente intuizione del prefisso “alfa” pre-scissivo di Lombardi Vallauri, così vicino alla filosofia umanistica ed illuministica del buddhismo indiano delle origini, che con il suo neti…neti… (né… né…) riesce ad affrancarsi dai vincoli delle aporie razionalistiche.

 

(per gentile concessione di Paolo Bancale, fondatore del bimestrale "NonCredo" edito da "Fondazione Religions-Free" - il III numero del bimestrale , con l'articolo che segue, è scaricabile in formato .pdf nella colonna adiacente a destra).

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Noncredenza e ateismo prescissivo

 

Di Luigi Lombardi Vallauri

PROFESSORE ORDINARIO DI FILOSOFIA DEL DIRITTO

PRESSO L’UNIVERSITÀ DI FIRENZE

La cosa “Dio”, mia lunga passione, oggi quasi non m’interessa. Mi interessano altre cose: la pace mentale, la vigile consapevolezza, la visione sapienziale del cosmo e dell’uomo come impermanenza e splendore, la realizzazione intuitiva del sapere scientifico, il risveglio al mistero dell’essere; mi interessano l’eros e l’amore fedele, la bellezza della natura e dell’arte, il viaggio e l’avventura, la tenerezza-responsabilità, la compassione universale per gli esseri senzienti, la nonviolenza nei confronti degli animali, l’etica e il diritto come discipline razionaliemozionali laiche; mi interessano lo sport, la piena salute, la vita yogica all’aperto, giocare perdutamente coi nipotini eccetera, eccetera. Quelli che proprio non mi interessano sono i vari “Dio unico” dei tre lignaggi abramitici, i folcloristici “Dio” rivelazionali che competono nell’arena dell’attuale polimonoteismo. Invece il concetto filosofico di Essere-Necessario-Originedel-Mondo lo trovo ancora formidabile, uno dei capolavori acrobatici dell’intelletto umano, risorsa eccezionale per sprofondamenti verticali fulminei giù dal chiacchiericcio psicologico interno e dall’assediante pettegolare esterno. Solo che se poi cerchi di pensare davvero come si può sapere che esiste, come è fatto, come opera, ebbene ti trovi immerso, direbbe il Dustin Hoffman di Kramer contro Kramer, in un maledettissimo mare di fottutissimi guai: “D” è un groviglio di koan nel senso Zen, di  aradossi/rompicapi che - insieme al buon senso e al principio scientifico di osservabilità sperimentale – ti butta nelle braccia dell’ateismo razionalista. Tuttavia le due cosmogonie atee uniche pensabili - il mondo materiale esiste per virtù propria da un tempo infinito (a semper), esiste per virtù propria da un tempo finito (è nato dal nulla, ex nihilo) - sono entrambe tutt’altro che  tranquillizzanti per la ragione, anzi le aprono baratri impercorribili.

Il materialismo infinitista e il materialismo finitista-nichilista sono ipotesi ontologiche non meno mostruose del teismo. Una delle tre è quella reale e nessuna è possibile.

Come affrontare questo naufragio della pur ben navigante ragione? Non certo col fideismo religioso, e nemmeno con lo scetticismo: la ragione funziona, ma approda all’irrappresentabile. È quello che io nel mio gergo (fondato però su una solida, anche se minoritaria, tradizione interculturale) chiamo “apofatismo”. Wittgenstein parlerebbe senza remore, laicissimamente, di mistica: «Che il mondo è, è il mistico»; l’esserci qualcosa invece che il nulla è il mistico.

Cosa comporta l’apofatismo per l’uso del termine “ateismo”? Comporta che non può essere un uso trionfalista e aproblematico; non puoi batterti il petto come un gorilla proclamandoti ateo; meno ancora il credulo può gloriarsi della sua credenza. Nel mio libro Nera luce ho cercato di introdurre il termine “a-teo” (pronunciare alfàteo). Con a-teismo intendo non il negare Dio ma il prescinderne: l’alfa non è privativo ma prescissivo. L’a-teismo si distanzia sia dall’ateismo sia (ancor più) dal teismo razionalista o rivelazionista. È il motivato decidere di non considerare decisivo il discorso o filosofico o teologico su “D”, essendo ogni asserto su “D”, anche quello magari vero (supponiamo “D non esiste” oppure “D è Padre Figlio e Spirito Santo”), un asserto altamente oscuro per l’intelligenza e comunque non molto rilevante sul piano dell’esperienza.

Su questo piano la parola non è l’ultima parola, è necessaria ma non sufficiente.

Una volta esercitata al meglio la parola dobbiamo ancora lavorare sul nostro corpo-mente (questo prodigioso successo cosmico) in vista di una trasformazione/illuminazione/liberazione non discorsiva che porti con sé, esperienzialmente, l’evidenza del proprio senso. Il senso della vita è da cercare non tanto in proposizioni giuste - pur necessarie - quanto in stati: esistono stati ultimamente desiderabili. Decisivo è il vissuto.

Qualcuno dirà che il mio apofatismo a-teo sa di buddismo. Beh, un po’ sì. Secondo me il buddismo originario è stato, nei confronti del bramanesimo, una forma di illuminismo razionalista: ha fatto piazza pulita degli dèi vedici, della preghiera, del sacerdozio, del rito, del sacrificio, della crudeltà penale, militare, venatoria, carnivora; ha concentrato l’attenzione sul mondo di cui si fa diretta esperienza e sulla riduzione del dolore. In questo atteggiamento può dirsi ateo.

Ma mi sembra preferibile interpretarlo, più sottilmente, come a-teo, cioè come una teoria della pratica trasformante fondata sullo scrutamento filosofico realistico del mondo. Una simile pratica può ben definirsi, laicamente, non solo un’etica ma anche propriamente una mistica (nel senso di Epicuro, Lucrezio, Plotino, Spinoza, Goethe, Kant, Russell, Wittgenstein, Musil). Dunque non solo illuminismo ma – proprio attraverso l’illuminismo – illuminazione. Il pensiero laico rischia l’asfissia se non coglie questo punto fondamentale, che non posso ora approfondire ma che mi sta vitalmente a cuore. Ci torneremo.

Intanto acquisiamo i concetti non banali di apofatismo e di a-teismo prescissivi come suscettibili di sviluppo anche in direzione di un’appropriata mistica laica. L’importante è togliersi dai solchi induriti dell’ateismo e del teismo soliti, cioè l’uno e l’altro dogmaticamente ignari dei baratri intellettuali che entrambi spalancano e della propria possibile irrilevanza sul piano decisivo del vissuto. A mio parere l’ateo e il teista consapevoli, cioè lucidamente immersi nello sgomento apofatico, sono più vicini tra loro di quanto ognuno dei due sia vicino ai propri confratelli parrocchiali.

FINE

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