bollino ceralaccato

Caos

Caos (1).

Prima della creazione, prima dell’intervento organizzatore di Dio, “c’era solo immobilità e silenzio nell’oscurità della notte”, e “la terra era una cosa senza forma e vuota”. E’ impressionante notare come tutte le remotissime narrazioni della cosmogonia (‘descrizione dell’origine dell’universo’) raccontano la stessa storia, così che è possibile affiancare, fondere e scambiare –come abbiamo fatto qui sopra– una citazione del Popol Vuh, il meraviglioso archetipo della letteratura maya, con una citazione della Bibbia (Genesi, 1, 2).

In quel momento primigenio “una tenebra ricopriva l’abisso” (ancora Genesi), e imperava il caos, che è appunto ‘l’originario stato di disordine della materia nel periodo antecedente alla formazione del mondo’. E non deve apparirci privo di significato il fatto che la parola, a differenza di quasi tutte le parole greche e latine, non si sia evoluta, adattandosi alle forme tipiche delle lingue moderne. Non che siano mancati i tentativi: nel 1300 si diceva in italiano cao, caòsse, caòsso. Ma nessuna di queste forme ‘moderne’ si è affermata: in italiano, in spagnolo, in portoghese è caos, in francese, in inglese, in tedesco è chaos.

Come dire che se una parola ci parla della notte dei tempi, essa stessa non può che restare legata ad una forma espressiva che si perde nella notte dei tempi.

‘Oscurità’, ‘tenebre’. E innanzitutto l’idea di ‘baratro’, spaccatura nel terreno. È questa, nel ricordo delle origini tramandato dal mito, l’immagine chiave: il greco chaós –dal verbo cháinein: ‘spalancarsi’ aprirsi’, di radice indoeuropea, da cui anche il latino hiatus– sta in origine per ‘fenditura’.

La parola ci ricorda che anche i mondi più meravigliosamente ‘creati’ –‘costruiti’, ‘organizzati’– conservano traccia di un originario ‘disordine’. Qualsiasi organizzazione presenta crepe, lati nascosti, difetti e contraddizioni. Andare a guardare in queste fenditure non è una perdita di tempo: proprio in questi interstizi appare più chiaramente visibile l’originaria natura dell’organizzazione, potremmo dire il suo ‘codice genetico’.

Un’organizzazione non ha una sola forma possibile. Può assumere ogni forma concepibile nel momento del caos, dell’istante che precede la creazione. Lì dove domina –in apparenza– il massimo disordine, proprio lì è possibile cogliere le radici dell’ordine.

Caos (2)

nota Heidegger a proposito di Nietzsche - significa qualcosa di diverso da un qualsivoglia disordine nel campo delle percezioni sensoriali e forse neppure disordine. Esso è il nome per indicare "il corpo che vive, la vita come vivente in grande". Ma questa vita vive, in quanto è pienamente e assolutamente corpo ("das leibende Leben"), il movimento, cioè, di quell'incorporare-divorante in cui sta la creazione-distruzione immanente alla physis. La parola caos. dunque. "non intende neppure il semplicemente aggrovigliato nel suo groviglio, e neppure il non-ordinato per aver negletto ogni ordine, bensì quel che incalza. torrentiziamente fluisce ed è mosso", il cui ordine è nascosto, la cui legge non conosciamo immediatamente. "Caos è il nome che indica un peculiare pre-progetto del mondo nella sua totalità e del signoreggiare cosmico".
Non a caso Heidegger sottolinea la corporeità di quel vivente caos che è il mondo, richiamandosi al pensiero nietzscheano del corpo come suo interno "filo conduttore". L'esperienza fondamentale del mondo ("Grunderfabrung der Welt") come caos, si radica, per Heidegger, nel "progetto cosmico" articolato a partire dal luogo dell'animale e dell'animalità. Se quindi il corpo è una "formazione di dominio". "caos non può significare il selvaggio disordine, bensì la latenza della insoggiogabile ricchezza del divenire e dello scorrere del mondo nella sua totalità". Ferruccio Masini
(da introduzione a Nietzsche "Così parlò Zarathustra" Edizioni I grandi tascabili economici Newton - maggio 1992- Roma)

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