bollino ceralaccato

L'Italia invecchia: come cambiano risparmio, previdenza e lavoro

La quota di anziani sul complesso della popolazione è in crescita. Un cambiamento che impatta significativamente su pensioni, risparmio e mercato del lavoro. Solo le imprese che sapranno affrontare l’evoluzione demografica potranno più facilmente attrarre e conservare personale con le maggiori competenze ed esperienze

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“Uno spettro si aggira tra i Paesi OCSE. Non è lo spettro della miseria o della lotta di classe, come un secolo fa, quando il tempo libero era un lusso riservato a pochi privilegiati e i lavoratori si affaticavano dall’alba al tramonto per poter acquistare cibo e indumenti e disporre di una misera abitazione. Nel 1890, arrivare alla pensione era una rarità; praticamente tutti i lavoratori facevano ancora parte, al momento della morte, della forza lavoro. Oggi, la metà degli appartenenti alla forza lavoro va in pensione prima dei cinquant’anni, potendo contare su entrate più che sufficienti.

Per molti leader politici attuali questa situazione, che è il coronamento dei sogni dei riformisti del secolo scorso, è un disastro potenziale. Con la generazione del baby-boom del 1945-65 ormai prossima alla pensione, essi sono costretti a scegliere tra non mantenere gli impegni con i futuri pensionati, elevare i requisiti di età per la pensione, o aumentare la pressione tributaria sui giovani.

In breve, il fantasma che perseguita i Paesi dell’OCSE non è la lotta di classe, ma il conflitto tra generazioni.”

Robert William Fogel

 

 

Le trasformazioni demografiche e il loro impatto sociale ed economico

 

Un grande problema incombe sulle future generazioni dei Paesi occidentali. Un problema che ha una duplice dimensione economica e sociale: la quota di anziani sul complesso della popolazione è in fase di significativa crescita.

Le conseguenze di questo sviluppo demografico non sono facilmente prevedibili perché in buona parte dipendono dalle risposte che i governi dell’Unione Europea saranno in grado di predisporre.

In realtà l’invecchiamento della popolazione di per sé potrebbe non essere un problema, infatti, l’età media della popolazione dei principali Paesi europei sta crescendo da diversi decenni e questo non ha causato alcuna tensione, né sul piano economico, né su quello sociale.

Il problema è dato dal cosiddetto “tasso di dipendenza” ovvero il rapporto tra la quota di popolazione pensionata o ultrasessantacinquenne e la quota di popolazione in età lavorativa.

È questo rapporto che è cambiato negli ultimi anni in maniera accentuata.

Se il “tasso di dipendenza” viene calcolato (come in effetti avviene) non solo tenendo conto delle persone in età pensionabile ma anche dei giovani non ancora in età lavorativa, escludendo questi ultimi il risultato sarebbe ulteriormente peggiorativo.

Gli anziani (gli ultrasessantacinquenni) costituiscono ormai il 30% della popolazione europea: questo significa un pensionato ogni 3 persone in età lavorativa.

Dati elaborati dalle Nazioni Unite indicano che la proporzione di popolazione di 60 e più anni nel mondo: nel 1950 era dell’8%, nel 2007 dell’11% e nel 2050 potrebbe essere del 22%. Un’evoluzione spiegata dall’andamento della cosiddetta “speranza di vita” e dall’evoluzione del tasso di fecondità.

L’attesa di vita è cresciuta di più nella seconda metà del XX secolo che in tutti i precedenti 5000 anni di storia dell’uomo.

A tutto questo si aggiunge un altro fenomeno di eguale portata e di altrettanta importanza.

La variazione peggiorativa del “tasso di dipendenza generale” (quello che tiene conto anche dei giovani in età non lavorativa) non deriva solo dall’allungamento della vita media dell’uomo, ma anche dalla variazione del tempo dedicato al lavoro: il cosiddetto orario di lavoro.

Un solo esempio per chiarire la dimensione del fenomeno ed il breve lasso di tempo in cui si è pienamente manifestato.

In Francia nel 1936 lavoravano metà dei settantaduenni e metà di tredicenni. Nei tre decenni seguenti l’età d’ingresso nel lavoro si è spostata a 18 anni e per molti, considerando gli studi superiori anche oltre i 25-26 anni, mentre la partecipazione al lavoro è scesa drasticamente una volta superata la soglia temporale per accedere alla pensione.

In conclusione, mentre negli anni ’30 del secolo scorso l’uomo lavorava per una buona parte della propria vita, oggigiorno il tempo di lavoro di una persona con una formazione media in Italia oscilla tra i 35 e i 40 anni (ovvero dai 20-25 ai 60-65) con una aspettativa di vita che cresce ormai da parecchi anni al ritmo di tre mesi ogni anno e che nel nostro Paese è arrivata alla rispettabile quota media di circa 80 anni per le donne e circa 78 per gli uomini.

È chiaro come il prolungamento della vita sia una grande conquista dell’uomo, mentre la contrazione dell’orario e del tempo di lavoro è stata compensata dall’incremento della produttività del lavoro resa possibile dalle conquiste della scienza e dall’evoluzione tecnologica.

Occorre però considerare come la contrazione dell’orario di lavoro e del tempo di lavoro (che dipende dall’età in cui scatta la pensione) sia avvenuta in una fase di significativa espansione demografica avvenuta dopo la II guerra mondiale in tutti i Paesi del mondo occidentale: il cosiddetto baby boom.

Ma, tra la fine degli anni ’60 e ’70, seppur con alcuni andamenti diversi nei Paesi europei, l’incremento dei nuovi nati è scemato e con gli anni ’80 è iniziata una netta inversione di tendenza.

Il tasso di fertilità, ovvero il numero medio di nati vivi per donna, è sceso sotto la soglia di mantenimento della popolazione che è di poco superiore a 2 ed in breve tempo è sceso ancora a 1,5 dato medio riferito ai Paesi del mondo occidentale.

In diversi Paesi europei tra cui l’Italia questo dato si è assestato intorno a 1,2, molto più basso di quello che ogni coppia dovrebbe garantire per assicurare il ricambio generazionale che è di 2 per donna.

L’allargamento dell’UE ad est non è servito ad invertire questa tendenza, infatti il tasso di fertilità delle nuove nazioni è mediamente pari a 1,24 nati vivi per donna, che risulta inferiore alla media dei 15 paesi precedentemente membri che risulta di circa 1,5.

Questo fenomeno dell’invecchiamento della popolazione colpisce seppur in maniera diversa gran parte delle nazioni di tutto il mondo come evidenziato dai dati della figura 1.

 

 Crescita mondiale dei pensionati

 

 

Le previsioni demografiche di alcuni paesi europei

 

 

Secondo la Commissione Europea e le principali fonti internazionali le previsioni al 2050 difficilmente potranno essere smentite perché i fenomeni demografici sono lenti nel manifestarsi, ma una volta in atto mostrano una grande inerzia.

Il margine maggiore di incertezza sulle dimensioni demografiche dei diversi Paesi europei dipende soprattutto dalle politiche verso l’immigrazione.

Infatti, è noto come le donne dei Paesi del terzo mondo tendono ad avere più figli ed in più giovane età rispetto alle donne europee.

 

 

I probabili effetti dell’invecchiamento

 

Secondo la Commissione Europea gli effetti dell’invecchiamento della popolazione avranno un impatto di grande portata non dissimile dai risultati sul piano economico-sociale prodotti dall’innovazione delle tecnologie (in particolare l’Information Communication Technology – ICT) e del fenomeno della globalizzazione dei mercati e dell’economia e tali effetti penalizzeranno le società più statiche dal punto di vista socio-economico e meno disposte ad innovare sul piano istituzionale le regole socio-politiche.

Per tutta una lunga fase i sistemi di solidarietà sociale e sanitaria saranno sottoposti a forte stress in una fase in cui i bilanci degli Stati offrono ben pochi margini per investimenti nella spesa sociale.

Le risposte a questo fenomeno da parte degli Stati occidentali ed in particolare dell’Europa sono state per ora molto timide ed incerte: i governi temono l’impopolarità che potrebbe derivare da scelte destinate a modificare più o meno consolidate prassi sociali.

La situazione sul piano politico può essere così sintetizzata nel quadro europeo:

- nessuna seria politica per favorire l’ingresso anticipato dei giovani nel mercato del lavoro;

- tentativo di un innalzamento generale dell’età pensionabile a 65 anni vista come standard a livello europeo, ma gli ostacoli in questa direzione non sono ancora stati del tutto rimossi in particolare per quanto riguarda l’Italia.

 

Popolazione oltre i 65 anni

 

Non è del resto del tutto certo che l’invecchiamento della popolazione comporti un forte aumento della spesa sanitaria: finora l’80% circa della spesa sanitaria in senso stretto avviene negli ultimi 18 mesi di vita della persona indipendentemente dall’età in cui avviene il decesso.

I fattori che determinano la crescita della spesa sanitaria sono invece da attribuire alle possibilità offerte dalla diagnosi precoce che consente di curare patologie che nel passato avevano un esito mortale e alle cure delle malattie croniche che richiedono terapie e farmaci per tutta la vita del paziente.

A cambiare radicalmente sono invece settori del mercato del lavoro, un fenomeno che è iniziato in sordina negli anni ’80 - ’90 del secolo scorso.

Gli effetti dell’innalzamento della scolarità e quindi dell’incremento dell’età con cui i giovani europei entrano nel mercato del lavoro e del conseguente venir meno della disponibilità a svolgere certe mansioni, sono stati compensati con i flussi migratori provenienti da Paesi extra europei e dell’Europa dell’est.

Oggi i flussi migratori sono di fatto indispensabili per coprire i vuoti determinati dal calo demografico e dal mutamento nel rapporto tra domanda e offerta di lavoro per quanto riguarda la popolazione nativa soprattutto quella giovane in fase di ingresso nel mercato.

Secondo i dati dell’UE tra il 2000 e il 2050 per effetto dell’evoluzione demografica la popolazione attiva (ovvero in età di lavoro) avrà un saldo negativo di ben 150 milioni di persone. Una enorme distruzione di persone che richiama alla mente le grandi epidemie di peste del passato.

In queste condizioni, senza un considerevole flusso migratorio, sarebbe impensabile fare funzionare alcuni settori del comparto manifatturiero (costruzioni, ecc.), dell’agricoltura, della sanità e dei servizi sociali.

Gli emigranti rappresentano quote crescenti della popolazione attiva e occorre riconoscere che il loro contributo alla vita sociale ed economica dei più importanti Paesi europei diviene sempre più importante.

Una quota sempre maggiore di anziani sul complesso della popolazione determina pressoché inevitabilmente una crescita nei servizi di assistenza a basso o medio contenuto medico-sanitario: assistenza a persone anziane, rieducazione motoria, la crescita numerica delle RSA (Residenze Socio Assistenziali) sono gli esempi attuali più manifesti di questa tendenza.

Già oggigiorno alcuni sistemi sanitari pubblici hanno difficoltà a finanziare gli interventi di assistenza, di rieducazione, di aiuto domestico.

Tra qualche anno questa difficoltà potrebbe trasformasi in impossibilità in una fase, ormai alle porte, in cui le tasse sul lavoro di due persone dovranno pagare tutti i servizi erogati a una persona anziana: questo è il quadro offerto da un contesto demografico nel quale il 30% della popolazione totale è ultrasessantacinquenne e pensionata.

In questo scenario il mezzo milione (o forse ottocentomila) di “badanti” presenti nel nostro Paese potrebbe vedere incrementato il suo numero: forse, ma a patto che i flussi migratori comunitari ed extra comunitari verso il nostro paese permangano stabili; in caso contrario sarà difficile affrontare il problema.

 

 

Invecchiamento e risparmio

 

L’invecchiamento della popolazione nel mondo occidentale ha posto il problema della stabilità dei sistemi pensionistici nel futuro.

La preoccupazione circa la capacità dei sistemi pensionistici pubblici di affrontare i problemi posti dal peggioramento palese del “tasso di dipendenza” ha stimolato le nuove forme di previdenza privata ed in generale il risparmio a lungo termine.

Lo stock di risparmio è aumentato in tutto il mondo occidentale e soprattutto in Europa e nei cosiddetti Paesi emergenti (Brasile, Russia, India e Cina, i Paesi cosiddetti BRIC). Questa grande massa di risparmio ha sicuramente contribuito in modo rilevante a determinare le condizioni di notevole liquidità, ricerca di impieghi, ridotta percezione del rischio che è all’origine di quel fenomeno di sovrapproduzione di titoli finanziari, i cosiddetti “derivati”, che sono all’origine della grande crisi economica che travaglia tutti i Paesi del mondo globalizzato.

 

Ricchezza media netta per fascia d'età

 

I dati evidenziano come in questa fase siano proprio le persone anziane ad avere una maggiore propensione al risparmio: l’invecchiamento della popolazione dovrebbe quindi produrre un aumento dello stock di risparmio depositato a vario titolo e forme presso gli intermediari finanziari.

Alcune teorie economiche sostengono che invecchiando la propensione al rischio diminuisce in maniera accentuata, ma non esistono chiare ed oggettive conferme di questo fenomeno.

A livello dei diversi governi europei si è fatto strada il dubbio che l’aumento della quota di popolazione anziana possa rendere non più sostenibili i sistemi pensionistici concepiti tempo addietro in contesti sociali ed economici molto differenti. I tentativi di affrontare il problema sono stati fino ad ora molto morbidi e orientati in due direzioni:

- legare sempre più strettamente il valore della pensione al valore dei contributi versati nel tempo dal lavoratore;

- stimolare, ed in qualche caso obbligare, i lavoratori a sottoscrivere strumenti pensionistici privati  (i Fondi Pensione Integrativi di Categoria)[1], ma rigidamente controllati da organizzazioni para-pubbliche.

Questi strumenti, i Fondi Pensione Integrativi, non hanno però suscitato forti entusiasmi nei lavoratori che in buona parte hanno preferito continuare ad avvalersi di strumenti tradizionali.

Migliore sorte avrebbero potuto incontrare questi strumenti presso i lavoratori se accompagnati da incentivi di natura fiscale, ma risulta difficile peri i diversi governi europei ridurre il gettito fiscale.

Così i risparmiatori hanno continuato ad utilizzare gli strumenti della tradizione come le assicurazioni sulla vita e i Fondi Pensione Privati.

 

L'integrazione della minoranza musulmana in Europa

 

 

Il punto di vista dei Governi del Gruppo dei Dieci grandi paesi

 

Nel dicembre 2004, dando seguito a una discussione svoltasi durante la riunione dei Ministri e dei Governatori del Gruppo dei Dieci che si era tenuta nel precedente mese di ottobre, i Sostituti del G10 hanno conferito a un gruppo di esperti il mandato di studiare, in un contesto caratterizzato dall’invecchiamento della popolazione, le implicazioni per i mercati finanziari e le politiche economiche dei mutamenti nei sistemi pensionistici; i risultati dello studio sarebbero quindi stati alla base della discussione dei Ministri e dei Governatori in occasione della loro riunione nel 2005[2]. Le principali conclusioni e raccomandazioni contenute nel rapporto redatto dal gruppo di esperti sono le seguenti:

  • “ i mutamenti in atto negli schemi pensionistici pubblici e privati possono significativamente

accrescere l’influenza esercitata sui mercati finanziari dal risparmio accumulato a fini

pensionistici e dai relativi flussi di capitali;

  • i governi potrebbero contribuire ad agevolare lo sviluppo e l’espansione dei mercati di

strumenti finanziari ancora non abbastanza diffusi, utili tanto per l’investimento dei risparmi

accumulati quanto per l’erogazione di trattamenti pensionistici;

  • l’attività di supervisione e di regolamentazione dovrebbe mirare a influenzare e sostenere la

tendenza verso una gestione del rischio più rigorosa, una maggiore trasparenza e una migliore amministrazione dei fondi pensione privati, cercando anche di rendere più coerenti tra loro i requisiti prudenziali e di finanziamento e i criteri contabili;

  • le norme fiscali non dovrebbero ostacolare l’accumulazione di riserve finanziarie da parte

dei fondi pensione privati, ma dovrebbero essere tali da evitare che si abusi delle possibilità    di differimento di imposte;

  • data la tendenza crescente al trasferimento del rischio sulle singole famiglie, la protezione

dei beneficiari di trattamenti pensionistici diviene una questione di rilievo e potrebbe essere necessario accrescere le conoscenze finanziarie e rafforzare l’offerta di consulenza.

 

Poiché i tassi di fertilità e di mortalità variano con gradualità, è noto da tempo che le economie avanzate registrano una crescita senza precedenti del rapporto tra popolazione anziana e popolazione in età lavorativa, dovuta alla diminuzione della fertilità, all’allungamento della vita media e, in misura minore, all’avvicinarsi dell’età pensionabile per la generazione del baby boom nata dopo la seconda guerra mondiale.

Inoltre, le proiezioni della speranza di vita hanno teso in passato a sottostimare la tendenza effettiva all’aumento della longevità, evidenziando il rischio che le popolazioni possano invecchiare anche più rapidamente di quanto attualmente previsto.

Da allora, e in linea con le principali raccomandazioni di quel rapporto, i responsabili della politica economica nella maggior parte dei paesi del G10 (e in altri paesi che si trovano in condizioni analoghe) hanno ricercato provvedimenti volti ad affrontare il problema dell’invecchiamento della popolazione, con riforme del mercato del lavoro (per elevare il tasso di occupazione) e con misure di riequilibrio dei bilanci pubblici (per contribuire a innalzare il tasso di risparmio nazionale e creare spazio per la spesa pubblica per pensioni prevista per il futuro). Al fine di attenuare l’impatto diretto dell’invecchiamento della popolazione sui bilanci, connesso con l’operare dei sistemi pensionistici pubblici, le soluzioni individuate sono consistite nell’aumento dei contributi, nella riduzione del rapporto tra pensione e retribuzione e nell’innalzamento dell’età di pensionamento. In molti paesi del G10, l’opzione di affrontare il problema unicamente aumentando le aliquote fiscali o contributive trova un limite nel loro già elevato livello e nel timore di effetti negativi sul costo e sull’offerta di manodopera. In diversi paesi, tuttavia, una soluzione complessiva per salvaguardare la sostenibilità dei conti pubblici deve ancora essere definita e il conseguimento del necessario consenso tra le diverse generazioni e i partiti politici resta ancora una sfida di grande portata per i governi.

Buona parte dei flussi addizionali sui mercati dei capitali motivati dall’offerta di risparmio a fini pensionistici sarà intermediata dai fondi pensione, che nelle economie del G10 sono ormai divenuti la principale categoria di investitori istituzionali, sebbene la loro importanza vari in misura considerevole da un paese all’altro. L’esperienza fin qui maturata suggerisce che vi è spazio per rafforzare la trasparenza e migliorare la governance dei fondi pensione: supervisione e regolamentazione possono contribuire a incoraggiare iniziative in tale direzione. Alla luce del loro crescente rilievo, diverrà sempre più importante garantire che la regolamentazione, la contabilità e l’amministrazione dei fondi pensione siano adeguate, così da salvaguardare sia la disponibilità di congrui redditi da pensione sia la stabilità finanziaria ed evitare, altresì, che si generino oneri rilevanti per i conti pubblici in conseguenza di pressioni per il salvataggio di fondi pensione insolventi.

Data la considerevole e crescente entità dei portafogli dei fondi pensione, mutamenti nell’allocazione delle attività in risposta all’evoluzione delle loro strategie d’investimento o a modifiche regolamentari e contabili potrebbero anche influire sul livello e sulla volatilità dei prezzi delle attività. Ad esempio, per meglio bilanciare attività e passività, i fondi pensione potrebbero decidere di spostare i loro investimenti dalle azioni alle obbligazioni a lunga scadenza, potenzialmente deprimendo il corso delle azioni e appiattendo la curva dei rendimenti per un certo periodo. Una rapida riallocazione sembra, tuttavia, improbabile e l’entità dell’impatto di un tale spostamento è molto incerta. D’altro canto, i fondi a prestazione definita con saldi finanziari negativi possono spingersi a investire in attività più rischiose al fine di migliorare la loro redditività e ripristinare integralmente la capacità di finanziamento degli impegni futuri, in particolare in presenza di rendimenti relativamente bassi dei titoli obbligazionari a più lungo termine quali quelli oggi prevalenti in molti paesi. Anche i fondi a contribuzione definita possono dar luogo a un’eccessiva assunzione di rischio da parte dei lavoratori dipendenti (molti dei quali possono avere una conoscenza limitata dei prodotti finanziari e delle relative implicazioni per i loro redditi da pensione), come l’investimento nel capitale azionario dell’impresa promotrice del piano. L’esperienza finora acquisita indica, tuttavia, che è più probabile che si verifichi il caso opposto, che i lavoratori tendano, cioè, a investire in modo eccessivamente cauto, cosicché non sia possibile assicurare rendimenti a lungo termine soddisfacenti.

Un’altra questione di rilievo collegata alle strategie di investimento a fini pensionistici è se un’adeguata serie di strumenti finanziari sia o sarà disponibile. Attualmente, l’offerta di obbligazioni a scadenza molto lunga e con indicizzazione sembra essere insufficiente in rapporto alla domanda attesa o percepita, limitando la capacità dei fondi pensione e delle società di assicurazione di coprire le passività a lungo termine. Inoltre, i fondi pensione potrebbero ricercare una copertura del rischio di longevità acquistando specifici strumenti che solo da poco si stanno rendendo disponibili. Oltre a ciò, strumenti di liquidazione quali rendite annue e prodotti flessibili relativi alla proprietà immobiliare sono utili per la distribuzione di redditi da pensione, ma in diversi paesi del G10 i mercati di questi prodotti sono poco sviluppati, se non addirittura inesistenti. Tra i vincoli all’emissione di strumenti adeguati vi sono: la complessità e la diversità dei sistemi tributari; i vantaggi radicati di prodotti finanziari più tradizionali; la difficoltà nella misurazione e nella determinazione del prezzo del rischio di longevità estrema; l’ampiezza e lo spessore relativamente limitati dei mercati dei prestiti con garanzie ipotecarie in alcuni paesi del G10; infine, le scarse competenze finanziarie della famiglia media.

In mancanza di un’iniziativa politica adeguata, il mutamento dei sistemi pensionistici nel contesto di un rapido invecchiamento della popolazione pone un certo numero di rischi per la stabilità finanziaria e la sostenibilità dei bilanci pubblici. Le principali problematiche riguardano:

a) supervisione e regolamentazione; b) offerta di strumenti finanziari adeguati; c) protezione dei beneficiari di trattamenti pensionistici e formazione finanziaria. Le tre aree sono interrelate; richiedono di essere affrontate con un’impostazione globale. Ciascuna area implica compromessi, ad esempio tra libera scelta degli investimenti ed efficaci criteri prudenziali, oppure tra massimizzazione dei rendimenti e garanzia di redditi da pensione sicuri. Conciliare in modo appropriato obiettivi come questi, fra loro in contrasto, costituisce in larga misura una questione di preferenza sociale e non ci si deve attendere che tutti i paesi operino le stesse scelte.

Le riforme dei sistemi pensionistici non costituiscono la sola reazione all’invecchiamento della popolazione con effetti significativi sui mercati finanziari e sulle politiche economiche. In particolare, per molti paesi del G10, l’aumento implicito degli impegni di bilancio associato all’incremento dei costi sanitari può perfino superare quello delle pensioni; le azioni intraprese per fronteggiare questa minaccia alla sostenibilità dei bilanci pubblici sono generalmente rimaste indietro rispetto a quelle riguardanti le pensioni, ma appaiono sostanziali ed è anche possibile che vi siano, in alcuni casi, complementarità tra le implicazioni pensionistiche e quelle relative ai sistemi sanitari.” [3]

 

 

La situazione in Lombardia

 

Secondo le elaborazioni realizzate dall’Ufficio Statistiche della Regione Lombardia se l’attuale tasso di fertilità pari a circa 1,2 figli per donna dovesse rimanere invariato, gli attuali 9,5 milioni di lombardi potrebbero diventare nel 2025 10,1 milioni grazie all’apporto degli immigrati (valutando un flusso migratorio costante nel tempo) da Paesi comunitari ed extracomunitari.

Per l’effetto migratorio la popolazione lombarda cresce in maniera lenta, ma l’effetto crescita è strettamente dipendente dai flussi migratori che non è possibile prevedere se continueranno nel futuro con il ritmo attuale.

L’indice di vecchiaia (rapporto tra ultrasessantacinquenni e giovani fino a 14 anni) che era di 121 nel 1995 dovrebbe assestarsi a 206 nel 2025: la quota 200 può essere ritenuta critica.

Il “tasso o indice di dipendenza” (numero di ultrasessantacinquenni ogni 100 persone in età di lavoro) dovrebbe passare dal 22% del 1995 al 34% nel 2025, mentre il “tasso di dipendenza generale” (numero di ultrasessantacinquenni più i giovani sotto i 15 anni ogni 100 persone in età di lavoro) dovrebbe passare dal 40% nel 1995 al 51 o 57% nel 2025 (vedi figura 5).

 

Indici relativi alla popolazione lombarda

 

 

Conclusioni

 

L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno inarrestabile di cui bisogna prendere atto. Bisogna prendere atto anche che grazie all’allungamento della vita dell’uomo le sue potenzialità di lavoro possono essere prolungate oltre la fatidica data dei 65 anni. Questo ovviamente ad esclusione dei settori cosiddetti usuranti.

Del resto guardando ad una nazione a noi vicina, se consideriamo le persone tra i 50 e 64 anni di età, mentre in Svizzera è ancora attivo il 66% delle donne e l’83% degli uomini, in Italia la percentuale scende per le donne al 52% e per gli uomini al 61%.[4]

Il mercato del lavoro ha già mostrato di risentire dei fenomeni in atto ed in alcuni settori economici il numero dei lavoratori anziani è aumentato in maniera considerevole.

Del resto i lavoratori anziani hanno il vantaggio dell’esperienza professionale e personale che costituiscono valori non trascurabili.

Le imprese devono però sopportare più alti costi del personale ed offrire valide opzioni in materia di carriera e per converso in termini di orario di lavoro.

Le imprese che sapranno affrontare il problema dell’evoluzione demografica della popolazione potranno con più facilità attrarre e conservare personale con le maggiori competenze ed esperienze, cosa questa che in un’economia della conoscenza determina un elemento competitivo molto rilevante.

 

 

Note

 

[1] Vedi il Decreto Legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005 “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”.

[2] Rappresentanti di Paesi Bassi, Regno Unito, Svizzera, BCE, FMI, OCSE e Segretario G10 hanno partecipato ai lavori, che si sono svolti sotto la presidenza di Ignazio Visco, Sostituto nel Gruppo dei Dieci per la Banca d’Italia. Inoltre corrispondenti per ciascun paese membro del G10 hanno fornito informazioni e commenti, pur restando gli autori responsabili per le opinioni espresse nel rapporto.

[3] Rapporto predisposto su richiesta dei Sostituti del Gruppo dei Dieci da un gruppo di esperti presieduto da Ignazio Visco, Direttore Centrale per le Attività Estere della Banca d’Italia, Invecchiamento della popolazione e riforma dei sistemi pensionistici: implicazioni per i mercati finanziari e le politiche economiche, Banca d’ Italia, Roma, settembre 2005

[4] Dati statistici della “Divisione dell’azione sociale e delle famiglie del Canton Ticino”, 2008.

 

 

Bibliografia

 

- Banca d’ Italia, “Invecchiamento della popolazione e riforma dei sistemi pensionistici: implicazioni per i mercati finanziari e le politiche economiche”, Roma, settembre 2005;

- Commissione Europea, “Le previsioni demografiche di alcuni paesi europei, 2004-2050”, 2006;

- Divisione dell’azione sociale e delle famiglie del Canton Ticino, “Dati statistici 2008”;

- Fogel R. W., “Fuga dalla fame. Europa, America e Terzo Mondo (1700-2100)”, Vita e Pensiero, 2006;

- National Intelligence Council, “Global Trends 2025: A transformed World” November 2008;

- OCSE “Going for growth” 2009;

- OECD “The macroeconomics implications of ageing in a global context”, marzo 1998;

- SCF, “Ricchezza media netta per fascia di età (in migliaia di $ USA - 2004)”;

- Ufficio Statistiche Regione Lombardia, “Indici relativi alla popolazione lombarda”, 2006.

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Oliviero Tronconi

Oliviero Tronconi

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