Oggi (16 gennaio 2008) sul Corriere, ma anche su altri giornali ovviamente, si parla delle previsioni diffuse da Bankitalia sulla recessione prossima ventura. E’ un dibattito che fa rabbrividire.
Cominciamo con una banalità che, se se ne cerca il significato profondo, tanto banalità non è: la titolazione. Un esempio dal Corriere “L’allarme di Draghi: l’Italia crescerà poco”. Cosa c’è che non va in questa titolazione? C’è che le previsioni sono state formulate non da Mario Draghi, ma dai suoi economisti. E sì, mi si obietterà, ma la responsabilità è del Capo. Quindi tutto si riferisce a lui. Forse questa visione va bene per la responsabilità gestionale, ma non per l’innovazione. L’innovazione è delle persone e del loro network sociale. Si moltiplica l’innovazione quando la si pianta di ragionare in termini di potere.
Perché abbiamo iniziato con questa banalità? Perché la sfida complessiva oggi è quella di superare la cultura che questa banalità rappresenta, una cultura che è ancora, quasi esclusivamente, una cultura di potere e di conservazione. Per rendere evidente questa realtà torniamo al dibattito sulla recessione.
Dario Di Vico sul Corriere ci “tranquillizza”: la recessione che ci sarà (dai forza, continuiamo a parlarne che così arriverà davvero. Mai sentito parlare delle profezie che si auto avverano o della meccanica quantistica?) è quasi esclusivamente dovuta a cause internazionali.
Ad essa si contrappone l’opinione di Andrea Guerra, il Ceo di Luxottica, che, in una intervista (sempre sul Corriere di oggi) anche se non con riferimenti diretti, esprime una opinione radicalmente diversa da quella del dott. Di Vico. Egli sostiene che il destino delle imprese è nelle mani delle imprese stesse se questa hanno il coraggio di, cito testualmente, “…tornare a fare gli imprenditori globali, radicandoci in più mercati, con più prodotti in più segmenti”.
Vogliamo prendere posizione con grande decisione: ha integralmente ragione il dott. Guerra.
Innanzitutto, dott. Guerra, mi permetta di citarle un dato che certamente ella conoscerà, ma forse altri no, e che conferma la correttezza della sua visione. Nel periodo 2000-2007 il valore medio dei prodotti venduti dalle imprese italiane è aumentato dell’84% mentre quello dei nostri concorrenti europei molto meno: tutti sotto il 35%. E, poi, mi permetta di andare ancora più in là proponendo alcuni risultati che le scienze della complessità rendono disponibili per comprendere come si sviluppano i sistemi umani: dalle imprese alle istituzioni. Sono non solo la prova scientifica che ella ha ragione, ma indicano anche cosa fare per costruire sviluppo invece di recessione.
In estremissima sintesi, i trend della società (la recessione e lo sviluppo) sono costruiti dai nostri comportamenti collettivi. Più in dettaglio: i mercati sono generati da una azione imprenditoriale che è sempre “sociale” e non frutto della forza prometeica di un individuo. Quando si produce innovazione importante, poi ci si rinchiude in essa senza possibilità di liberarsene da soli. Più generalmente, tutti i sistemi umani (dalle imprese alle istituzioni) sono generati da processi di creazione sociale. Il problema è che questi processi tendono a spegnersi. Quando questo accade, si genera recessione.
Se i processi di sviluppo dei sistemi umani sono questi, allora è necessaria una nuova cultura e nuovi strumenti (una nuova modalità di governo, di management) per gestirne la forza creativa e eliminare le derive degenerative. E’ questa nuova cultura e questi nuovi strumenti che possono permettere a tutti coloro che hanno il coraggio di considerarsi artefici della propria fortuna di riuscirci. Sono questi strumenti che ci permettono di costruire sviluppo invece di recessione. Allora la prima urgenza è quella di rendere disponibili questa cultura e questi strumenti a tutta la nostra classe dirigente.
Un’ultima nota di drammatica concretezza per fare precipitare il dibattito nella concretezza.
Dott. Di Vico, se fosse come dice lei, non vi sarebbe nessuna speranza per aumentare stipendi e salari in modo considerevole. Se riusciamo a convincerci che l’atteggiamento vincente è quello del dott. Guerra, se proviamo a credere che questo suo atteggiamento può essere molto più praticabile se si utilizza la nuova comprensione dei sistemi umani che la metafora della complessità rende disponile, allora, forse, potremmo avviare una nuova stagione di imprenditorialità sociale che abbia come obiettivo primario l’aumento rilevante ed in tempi brevi della qualità e della quantità dell’occupazione.