Non è mai facile commentare le iniziative altrui. Specie per noi che siamo soliti presentare periodicamente proprio con dei seminari il frutto dei nostri sforzi di ricerca. Ma quello che ho notato da un anno a questa parte partecipando a molti convegni che avevano come tema di discussione la CSR, seppur trattata da angolature molto diverse tra loro, mi preoccupato molto. Infatti, di indizi che portano a pensare che si stia istituendo quello che sta purtroppo già diventando “il gran rituale della convegnistica sulla CSR” ce ne sono molti, vediamo i più evidenti.
Innanzitutto, i relatori (o i partecipanti alle tavole rotonde) sono nella stragrande maggioranza dei casi sempre gli stessi, i volti oramai sono noti, la cordialità tra loro aumenta. I discorsi, i punti di vista, gli esempi riportati sono, ancora una volta, sempre gli stessi: non si dice sostanzialmente nulla di nuovo.
Le tesi innovative e le proposte utili a un manager d’azienda che, finito il convegno e tornato nel suo ufficio, volesse prendere spunto da quanto ascoltato per creare consenso e sviluppo attraverso la CSR mancano, la retorica abbonda (la CSR viene dipinta come quella cosa bella e utile che devo fare e devo comunicare a gran voce che faccio e che è importante e strategica per la mia azienda; in pratica, un vincolo da rispettare per non danneggiare più di tanto il sociale ed evitare di avere tutti contro).
Il materiale distribuito va raramente al là della mera documentazione di marketing o della brochure commerciale, non mi risulta che sia mai stato distribuito un paper o una raccolta di articoli con le tesi sostenute da uno o più relatori; al limite dei report, ma ampiamente sponsorizzati (e solo report, guai azzardare una proposta e fare un piccolo sforzo in più dell’osservare la realtà).
I cosiddetti casi aziendali presentati sono quasi sempre sponsorizzati da questa o quella società di consulenza in cerca di visibilità; i temi in tal senso che vanno per la maggiore sono l’ecologia, l’ambiente, le iniziative sociali e di comunicazione, le certificazioni socio-ambientali.
In sala, partecipanti certo numerosi, ma quel che si nota è la crescente percentuale di addetti ai lavori, esperti, consulenti e rappresentanti pubblici o delle istituzioni, mentre le aziende tendono a non essere presenti o a delegare, solo raramente chi ha il ruolo di decisore nei processi di CSR spende il proprio tempo a un convegno.
Infine, poco o nullo lo spazio per interventi dei convenuti e, quando previsto, poche le domande e quasi sempre da parte di addetti ai lavori (consulenti, esperti, docenti, rappresentanti istituzionali) che, mi si lasci dire, più che fare domande fanno delle proprie personali osservazioni del tutto indipendenti.
Se ripetutamente e a distanza di mesi lo stesso triste scenario si ripete, allora significa che la deriva autoreferenziale è in atto ed è lecito preoccuparsi. Anche perché, nel frattempo, ho personalmente incontrato diverse persone e manager che si occupano di Csr. Ho parlato con tante aziende fortemente impegnate nella Csr o in procinto di farlo. E tutti quanti si stanno accorgendo di questa triste deriva retorica che ha come suo apice proprio la già citata “convegnistica di settore”. Molti mi hanno dichiarato di non partecipare più a nessuno di questi rituali vuoti e noiosi.
Non converrebbe rifletterci? E, magari, utilizzare tanti sforzi e tanta energia per costruire delle iniziative in grado di dare un reale impulso alla CSR e non farla apparire come una semplice opportunità commerciale per consulenti da strapazzo e un ritrovo tra i soliti noti.