Devo ammetterlo: è uno di quegli articoli che fanno saltare la mosca al naso. E contribuiscono direttamente, anche se certamente involontariamente, alla convinzione diffusa (e, leggendo questo articolo, non infondata) che la conoscenza è da lasciare ai teorici perchè nella vita concreta è necessaria l’esperienziaccia.
E’ un articolo del prof. Sartori pubblicato oggi, 6 settembre 2007, in prima pagina sul Corriere. Il prof. Sartori è considerato (anche per le sue esperienze di insegnamento negli USA) uno dei maggiori politologi italiani e, dall’alto della sua fama, sostiene in questo articolo la tesi che il dialogo produce risultati inferiori alla applicazione delle leggi della politica. L’oggetto è la legge elettorale e il tentativo di dialogo tra le parti politiche per progettare (non uso a casa questa parola) una nuova legge elettorale. Egli sostiene che questo dialogo rischia di essere la fiera degli equivoci sostanzialmente per la ignoranza politologica dei nostri politici.
Ora io da sempre sostengo che serve una nuova classe dirigente ad ogni livello della vita sociale. E intendo “nuova” non in senso anagrafico, ma culturale complessivo. Quindi credo che l’attuale classe dirigente sia culturalmente inadeguata. Ma dopo aver letto l’articolo di Sartori, non posso che solidarizzare con l’attuale classe politica e pensare che prima di una nuova classe politica occorre costruire una nuova classe di intellettuali.
Anticipo la mia contro tesi e poi mi spiego. Io credo che sia vero l’esatto contrario di quello che sostiene Sartori. Sostengo che il dialogo produce riforme molto migliori di quelle che produrrebbe qualunque esperto. Il problema è che gli attuali politici non conoscono la natura e le dinamiche dei dialoghi umani. Se le conoscessero… Ora mi spiego.
Il prof. Sartori usa per descrivere un sistema elettorale la metafora dell’orologio: le rotelline di un sistema elettorale funzionano se sono progettate coerentemente da un esperto.
Ora la metafora è rivelatrice. Egli crede ancora che i sistemi umani siano assimilabili a macchine che funzionano solo se sono progettate bene da esperti. Ma si tratta di una visione ingenua. E’, oramai, dai primi sprazzi di comprensione di Wiener e compagni nel dopo guerra che tutti si sono convinti che i sistemi umani non sono sistemi meccanici. E’ oramai dagli anni ’70, cioè dalla formulazione della teoria dei sistemi autopoietici, che abbiamo scoperto che un sistema umano non è neanche un sistema di elaborazione di informazioni, ma il suo modello più realistico è quello della rete a nodi protagonisti.
Se il professore si informasse, comprenderebbe che un sistema elettorale è, innanzitutto, solo uno stimolo. Una occasione per innescare una interazione progettuale tra le diverse parti politiche. L’obiettivo non è nel risultato: quale sistema elettorale. L’obiettivo è nel consenso: funzionerà quel sistema elettorale che avrà raccolto il più vasto consenso.
Allora il ruolo degli intellettuali non è di suggerire astratti sistemi elettorali che dovrebbero funzionare meglio di altri. Ma di fornire ai politici metodologie e strumenti perché riescano a sviluppare il loro ruolo di costruttori di consenso in un modo molto più efficiente ed efficace.