Negli ultimi trent’anni la convinzione che tutto quanto sia, a ben guardare, complesso si è diffusa come un’epidemia o – come direbbe Dawkins – si è rivelata un meme estremamente contagioso.
Non c’è ramo del sapere che non ne sia stato influenzato. In ogni anfratto della conoscenza umana arriva il meme della complessità e modifica la percezione dei ricercatori, i quali gettano un nuovo sguardo ai propri modelli teorici e un attimo dopo si sentono obbligati a dire: «Le cose non stanno affatto così: questo modello è troppo semplice», o affermazioni analoghe.
Questo cambiamento di percezione avviene con le caratteristiche di un disvelamento. E’ come se si squarciasse un velo di Maya davanti a tutti quelli che vengono “contagiati dalla complessità”: il mondo non appare più quello di prima e i modelli utilizzati fino a quel momento necessariamente vengono giudicati gravemente insufficienti, obsoleti in modo imbarazzante, per non dire patetici.
Questo disvelamento non è privo di effetti collaterali: insieme al tipico smarrimento, la mente umana avverte che questa svolta è diversa da tutte le precedenti. Non si assiste al solito «cambiamento di paradigma» (come Kuhn chiamava tutte le rivoluzioni scientifiche), ma addirittura alla «fine delle certezze» (secondo la lapidaria espressione di Prigogine e Stengers).
Il disvelarsi della complessità, Platone e il parricidio di Parmenide -
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