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Complessità e organizzazione, ovvero verso le auto-organizzazioni

La maggior parte dei biologi, eredi della tradizione darwiniana, ritiene che l'ordine della natura sia dovuto al lavorio di un marchingegno molecolare messo insieme pezzo per pezzo dall'evoluzione. Oggi molti studiosi di quella che viene chiamata “teoria della complessità” la pensano diversamente: gran parte del meraviglioso ordine che osserviamo è spontanea, è un'espressione naturale della sbalorditiva capacità di auto-organizzazione presente in tutte le reti che costituiscono la trama della complessità......

( Per una breve introduzione ai concetti fondamentali della complessità: Cos'è la complessità... semplicemente? - di Nicola Antonucci   [NdR] )

Complessità e organizzazione, ovvero verso le auto-organizzazioni

Alberto F. De Toni e Luca Comello

Sulla teoria della complessità

La maggior parte dei biologi, eredi della tradizione darwiniana, ritiene che l'ordine della natura sia dovuto al lavorio di un marchingegno molecolare messo insieme pezzo per pezzo dall'evoluzione. Oggi molti studiosi di quella che viene chiamata “teoria della complessità” la pensano diversamente: gran parte del meraviglioso ordine che osserviamo è spontanea, è un'espressione naturale della sbalorditiva capacità di auto-organizzazione presente in tutte le reti che costituiscono la trama della complessità. L'ordine, esteso e produttivo, sorge naturalmente (Kauffman, 2001).

La teoria della complessità, originata in seguito agli studi nel campo della termodinamica del premio Nobel per la chimica Ilya Prigogine (1917-2003) e successivamente approfondita in numerosi centri di ricerca in tutto il mondo, si propone di studiare i sistemi complessi adattativi, cioè sistemi caratterizzati da numerosi e diversi elementi e da connessioni numerose e non lineari, che cercano di adattare le loro caratteristiche in modo da massimizzare le possibilità di evoluzione. Sono sistemi complessi adattativi tutti i sistemi viventi, gli animali, gli uomini. E ancora, le organizzazioni, le ecologie, le culture, le politiche, tutti i sistemi sociali. I sistemi complessi adattativi, per vivere ed evolvere nell'ambiente, si auto-organizzano dall'interno, senza interventi esterni o disegni prestabiliti.

L'auto-organizzazione è un fenomeno bottom-up, che emerge dal basso verso l'alto. Hofstadter (1985) descrive l'auto-organizzazione come “la composizione spontanea e inconscia di totalità coerenti a partire da parti disperse”. Capra (2001) pone invece l'accento sulla non linearità dell'auto-organizzazione. Anche i gruppi di animali (branchi, banchi, stormi, ecc.) e di persone mostrano dinamiche dello stesso tipo, tanto che spesso si parla di gruppi acentrati, intendendo che il processo non è governato dal centro, ma dalle singole parti del sistema (Comboni, 1991).

L'auto-organizzazione sembra essere il prerequisito per la capacità di evoluzione, poiché genera i tipi di struttura che possono trarre vantaggio dalla selezione naturale. Soltanto quei sistemi che sono capaci di auto-organizzarsi spontaneamente possono essere in grado di evolvere ulteriormente. La selezione utilizza principalmente proprio ciò che è auto-organizzato e robusto perché le caratteristiche auto-organizzate sono quelle che possono venire modellate più rapidamente (Kauffman, 2001).

Le specie viventi sono esempi classici di auto-organizzazione: possono essere organizzate in milioni di generi di animali e piante attraverso gli stadi dell'evoluzione biologica, a partire dal molto semplice fino ad arrivare al complesso. Anche gli Stati nazionali possono essere considerati come emergenti da un processo di integrazione di elementi differenziati come villaggi, cittadine, città, contee. Nell'universo, poi, le particelle elementari formano gli atomi, le molecole, gli elementi e i composti. Su scala cosmica le nuvole gassose condensano per dare luogo alle stelle, che poi portano alle galassie, ai gruppi di galassie, ecc. Il cervello umano è un altro splendido caso di auto-organizzazione, in quanto può essere visto come un sistema integrato di elementi differenziati - i neuroni - che da soli non hanno coscienza. La coscienza è dunque una proprietà emergente dal processo di auto-organizzazione. Gli stormi di uccelli sono auto-organizzati. I movimenti fluidi dello stormo sembrano essere guidati da una coreografia predefinita, ma in realtà molti stormi non hanno un leader. Uno stormo agisce in modo armonioso perché ogni singolo uccello segue un insieme di regole di base. Le formiche si comportano in modo analogo: se le si mettono in un gruppo che interagisce, emerge un formicaio. Poiché il formicaio emerge da interazioni dinamiche bottom-up e non è il prodotto di una pianificazione top-down, si dice che c'è auto-organizzazione. In natura vi è davvero poco spazio per ciò che è rigidamente pianificato e pertanto immutabile. Negli esseri umani circa il 10-12% del patrimonio genico è deputato a gestire la quotidianità, la quota restante è orientata alla risoluzione di situazioni di crisi o impreviste. Noi sopravviviamo grazie a questa ridondanza. È molto comune, osservando le organizzazioni tradizionali, notare come non esista ridondanza: il peso della gestione della quotidianità è spesso molto maggiore di quello della gestione o della creazione di imprevisti.

La complessità esorta uomini ed organizzazioni a superare i modelli tradizionali (De Toni e Comello, 2005): le auto-organizzazioni hanno maggiori probabilità di evolvere.

Le auto-organizzazioni


Le considerazioni anticipate al paragrafo precedente e le loro implicazioni per le organizzazioni possono essere riassunte dalla seguente affermazione del consulente di change management Gareth Morgan (1991), secondo cui “noi stiamo lasciando l'era delle organizzazioni organizzate e stiamo entrando in un'epoca in cui l'abilità di capire, facilitare e incoraggiare processi di auto-organizzazione diverrà la competenza chiave”.

Auto-organizzazione non significa assenza di leadership. Significa una nuova leadership complessa: imprenditori e manager sono chiamati a prestare attenzione alle dinamiche emergenti dal basso, dai propri collaboratori, dal personale di linea, da attori esterni come fornitori, clienti, consumatori, ecc. Il cambiamento non è da poco: si tratta di passare dalla tradizionale logica top-down ad una logica anche bottom-up. Il focus della leadership dovrebbe essere quello di delegare pur nell'ambito di alcune semplici regole di base, allo scopo di fare emergere all'interno delle organizzazioni l'intelligenza distribuita, ovvero le capacità (intellettuali, operative, innovative, emozionali) in rete degli esseri umani. Le dinamiche che regolano questo equilibrio instabile sono di cooperazione e competizione sia all'interno che all'esterno dell'impresa.

L'auto-organizzazione è raggiunta favorendo la creazione di una rete interna all'organizzazione, dove i nodi sono costituiti dall'intelligenza delle singole persone, e le connessioni sono rappresentate dalle interazioni anche informali tra le stesse (intelligenza distribuita); e di una rete esterna all'organizzazione, che coinvolga tutti gli attori potenzialmente rilevanti, come avviene nei distretti italiani (alleanze strategiche). Secondo Vicari (1998), l'auto-organizzazione interna è visibile nella capacità di risposta senza ricorrere a gerarchia o a meccanismi di coordinamento. Gli elementi che la determinano possono essere i singoli oppure gruppi formali o informali. Quello che conta è che collaborino e competano tra di loro. Contano, dunque, le persone e le interconnessioni tra di loro (Olson e Eoyang, 2001). Non si tratta di lasciare libertà assoluta, ma di favorire un contesto in cui possa nascere auto-organizzazione.

Il modo pratico perché gli elementi del sistema impresa cooperino e competano è favorirne la partecipazione. Quindi la partecipazione non è più vista solo come fonte di committment e come miglioramento delle condizioni di lavoro, ma come strumento per “complessificare” un'organizzazione, in modo che sia in grado di rispondere meglio alle mutate condizioni dell'ambiente competitivo. Si parte da una strategia semplice - quella della partecipazione - per generare un comportamento complesso. È l'opposto della concezione classica, che parte da complicate regole per il controllo, e genera un comportamento semplice (Ashmos et al, 2002). La strategia semplice della partecipazione consiste nel connettere le persone tra di loro, lasciandole contemporaneamente autonome, con meccanismi di controllo e procedure minime. Questo tipo di strategia genera un'organizzazione complessa, in grado di fornire risposte complesse, con una forte sensibilità nei confronti dell'ambiente.

 

Le applicazioni della teoria della complessità suggeriscono che il focus della leadership dovrebbe essere quello di favorire e accelerare l'emergenza dell'intelligenza distribuita, che è una funzione di «assets umani e sociali strategicamente rilevanti - le capacità intellettuali in rete degli agenti umani» (McKelvey, 2001). L'intelligenza distribuita è il cervello dell'impresa e infatti lo scopo deve essere di migliorare il Quoziente Intellettivo (McMaster, 1996).

L'intelligenza distribuita costituisce una sorta di rete all'interno dell'organizzazione, dove:

 

  • i nodi sono costituiti dall'intelligenza delle singole persone (capitale umano, H);
  • le connessioni sono rappresentate dalle persone che dialogano e interagiscono tra di loro (capitale sociale, S).

Quindi sono importanti sia le singole persone sia le relazioni tra di loro. Per quanto riguarda il capitale umano, secondo Normann (2002) è opportuno che convivano la capacità di concettualizzazione e la capacità di azione. Paragonando il pensiero di Taylor, che al giorno d'oggi è ancora presente in molti manager, a quello di Konosuke Matsushita, fondatore e, fino alla sua morte, capo di una delle maggiori società giapponesi (la Matsushita Electric Ltd.), comprendiamo meglio l'importanza dell'auto-organizzazione interna. Sviluppare l'auto-organizzazione interna significa per Matsushita: “mobilitazione quotidiana di ogni grammo di intelligenza disponibile”. L'auto-organizzazione è fondamentale anche all'esterno della singola impresa. In questo caso la singola impresa costituisce un elemento di un tutto emergente dal basso, come nel caso dei distretti italiani.

 

Il distretto è un sistema auto-organizzato, ossia un sistema privo di un soggetto, un disegno prestabilito, un'impostazione top-down, un potere, che assuma il ruolo di organizzatore. Nonostante l'assenza di un disegno precostituito e di un regolatore attivo che indirizzi gli eventi verso lo sbocco voluto, la somma delle molte interazioni non dà luogo ad un processo caotico e incontrollabile. Anzi, emerge un ordine spontaneo, un coordinamento di fatto, la cui trama sotterranea resta invisibile ad una osservazione superficiale. Le decisioni prese da ciascuno degli operatori sembrano svolgersi in modo indipendente l'una dall'altra, a volte sembrano casuali, ma non è così.

Una rete di interconnessioni le collega, le disciplina, le indirizza verso un ordine che è fonte di elevata competitività del sistema a livello non solo locale, ma anche globale. I distretti si auto-organizzano attorno ad un territorio. Scienza classica e modernità ci hanno allontanato dal territorio “inteso come sintesi, sedimentata in un luogo, di storia, di cultura e di relazioni tra gli uomini” (Rullani, 2002), portandoci invece verso “un luogo privo di qualità. Uno dei tanti luoghi, uno dei tanti addensamenti o rarefazioni prodotte dall'algoritmo di calcolo” (ibidem). Il territorio è invece proprio il mezzo che permette il sorgere di una intelligenza distribuita (ibidem): “Il territorio […] funziona come un frame relazionale e comunicativo, capace di integrare migliaia di intelligenze decentrate e interdipendenti, che, interagendo tra loro, danno luogo ad un comportamento aggregato non solo organizzato, ma efficiente. Così efficiente da risultare competitivo in numerosi settori dell'economia moderna”.

Le imprese che si auto-organizzano dovrebbero perciò collaborare e competere tra di loro, accumulare conoscenza in seguito a relazioni formali ma soprattutto informali, vissute e vere. Dovrebbe esserci un territorio comune, fisico, oppure metaforico, costituito da valori condivisi e una forte visione. L'obiettivo dello sviluppo dovrebbe essere sempre tenuto in considerazione insieme a quello della perfetta gestione delle attività: innovare e conservare insieme, perché, come ci dicono in modi diversi una stupenda opera letteraria come “Il Gattopardo” e una rigorosa teoria scientifica come la cibernetica, bisogna cambiare per poter rimanere se stessi.

Conclusioni

La teoria della complessità ha descritto l'auto-organizzazione come uno dei misteri più affascinanti della scienza. I sistemi complessi adattativi, cioè gli animali, gli uomini, i gruppi sociali, ma anche i mercati e le imprese, si auto-organizzano. Ovvero, i comportamenti complessi emergono dal basso, senza imposizioni esterne o un centro decisionale preposto.

I comportamenti complessi emergono da dinamiche di allontanamento dall'equilibrio e da comportamenti cooperativi e competitivi tra gli elementi del sistema (persone, organizzazioni, mercati). Le implicazioni per il management sono forti. Lasciare che un'organizzazione si auto-organizzi significa favorire la partecipazione delle persone e fare emergere il concetto di intelligenza distribuita. L'auto-organizzazione va poi ricercata anche all'esterno, mediante alleanze strategiche in cui vengano condivisi valori forti e in cui gli obiettivi dello sviluppo futuro attraverso l'innovazione e della perfetta gestione del presente siano contemporaneamente presenti.

 

Non avere un disegno imposto dall'alto significa che le organizzazioni non dovranno precludersi nessuna direzione. Definita una strategia, una direzione di marcia, la chiave è la flessibilità, la consapevolezza che il cammino si fa andando, e non può essere scelto a priori, soprattutto in un mercato gommoso come quello attuale, che si deforma continuamente dopo ogni nostro passo e ogni passo delle altre persone e organizzazioni.

 

Non è conveniente predefinire il percorso. È più opportuno mettersi nelle condizioni di cogliere l'attimo fuggente. Come suggerito da Robin Williams in L'attimo fuggente (1989): “Cogli la rosa quand'è il momento, ché il tempo, lo sai, vola: e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà”. Parafrasando l'affermazione del premio Nobel per la fisica Philip Anderson, secondo cui “l'emergenza è il mistero più affascinante della scienza”, si può sostenere che l'emergenza dal basso è il futuro più affascinante per le organizzazioni.

Bibliografia:

 

 

Ashmos D.P., Duchon D., McDaniel R.R., Huonker J.W., “What a Mess! Participation as a Simple Managerial Rule to `Complexify' Organizations”, Journal of Management Studies, 2002; 39 (2), pp.189-206.

Capra F., La rete della vita, Milano, BUR Rizzoli, 2001.

Comboni G., “Semplicità e complessità nel sapere: un approccio storico-critico”, in Colombo G., Complessità e managerialità. Cambiamenti di scenario e nuovi assetti d'impresa, Milano, EGEA, 1991.

De Toni A.F. e Comello L., Prede o ragni. Uomini e organizzazioni nella ragnatela della complessità, Torino, Utet, 2005.

Hofstadter D.R., “L'architettura del Jumbo”, in Bocchi G. e Ceruti M., La sfida della complessità, Milano, Feltrinelli, 1985.

Kauffman S., A casa nell'universo, Editori Riuniti, 2001.

McKelvey B., “Energising order-creating networks of distributed intelligence: improving the corporate brain”, International Journal of Innovation Management, 2001, 5 (2), pp.181-212.

McMaster M.D., The Intelligence Advantage. Organizing for Complexity, Boston, Butterworth-Heinemann, 1996.

Morgan G., Images. Le metafore dell'organizzazione, Milano, Franco Angeli, 1991.

Normann R., Ridisegnare l'impresa. Quando la mappa cambia il paesaggio, Milano, Etas, 2002.

Olson E.E. e Eoyang G.H., Facilitating Organization Change. Lessons from Complexity Science, San Francisco, Jossey-Bass / Pfeiffer, 2001.

Rullani E., “Il distretto industriale come sistema adattativo complesso”, in Quadrio Curzio A. e Fortis M., Complessità e distretti industriali. Dinamiche, modelli, casi reali, Bologna, Il Mulino, 2002.

Vicari S., La creatività dell'impresa. Tra caso e necessità, Milano, ETAS, 1998.

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